Educazione civica materia obbligatoria dalla materna

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Educazione civica materia obbligatoria dalla materna

Educazione civica materia obbligatoria dalla materna.

Educazione civica materia obbligatoria dalla materna alle superiori: la Lega presenta un progetto di legge.

 

L’ipotesi prevede un insegnamento curricolare da portare all’esame di Terza media. Dalla Buona scuola ai sindaci, tutti i tentativi di trasferire la Costituzione sui banchi

di CORRADO ZUNINO

 

Torna la questione Educazione civica a scuola, ora proposta secondo declinazione leghista. Questa mattina alla Camera i ministri Matteo Salvini (Interno), Marco Bussetti (Istruzione) e Lorenzo Fontana (Famiglia) hanno presentato un Progetto di legge che vuole rendere la materia “obbligatoria in tutte le scuole italiane”. Dall’ingresso alla materna fino all’uscita della Maturità. Segno, da parte della Lega, di una volontà riformatrice profonda, un intervento sulle abitudini culturali di un Paese. Quest’ultimo atto, che prenderà il suo avvio legislativo a gennaio, in Commissione cultura, entra tuttavia in un campo affollato di iniziative pregresse e parallele, di leggi esistenti applicate parzialmente o per nulla.

Il nuovo progetto è a firma del deputato leghista Massimiliano Capitanio e disegna un insegnamento “obbligatorio e curricolare”, dai tre ai diciott’anni. Nelle scuole d’infanzia si prevedono “progetti di Educazione civica” e per la scuola primaria vengono fissate 33 ore annuali con una valutazione sulle conoscenze dal terzo anno delle elementari, quindi certificazioni “soft skills” alla fine del triennio delle medie e del biennio delle superiori. Già oggi, per comprendere l’affollamento sul tema, al termine dell’Esame di Terza media il dirigente scolastico rilascia un giudizio, a proposito della formazione raggiunta, anche sulle “competenze sociali e civiche”. Nel progetto leghista, “condiviso dagli alleati”, l’Educazione civica sarà materia di colloquio in occasione sia dell’esame di Terza che per l’orale della Maturità. Già il prossimo giugno, in verità, all’orale dell’Esame delle superiori si accerteranno “le conoscenze e le competenze maturate nell’ambito delle attività di Cittadinanza e Costituzione”. Una riforma su cui il ministro Bussetti si era autonomamente portato avanti.

Tutto dentro: cyberbullismo, droghe, educazione stradale

La proposta di legge della Lega è larga. Prevede che il Miur elabori un regolamento per orientare l’insegnamento di alcune materie a partire dalla conoscenza della Costituzione, proseguendo con il contrasto a bullismo e cyberbullismo, continuando con l’educazione stradale, l’educazione ambientale, il contrasto alla dipendenza da droghe e alcol. La proposta andrà incardinata con attenzione in commissione Cultura per non rischiare il patchwork onnicomprensivo spesso inefficace. Il disegno leghista prevede lo stanziamento di un milione di euro per premiare le migliori pratiche scolastiche in occasione della cerimonia del 2 Giugno, Festa della Repubblica italiana. “Per facilitare il dialogo tra docenti, studenti e famiglie sono introdotti due momenti di formazione l’anno”.

Salvini: “Genitori senza rispetto”

Il ministro Bussetti dice: “Ciò che è pubblico è nostro, vogliamo insistere su questa concezione della legalità. La prima causa di morte giovanile sono gli incidenti stradali”. Il ministro Fontana ha voluto ricordare come sia stato firmato un protocollo che prevede che la Lingua italiana dei segni sia riconosciuta anche nel nostro Paese come lingua ufficiale. In questo specifico settore servirà formare gli insegnanti. Ma è stato l’intervento di Salvini a far capire come il progetto “Educazione civica” coltivi una speranza educativa e di ordine tout court: “E’ necessario rimettere al centro la scuola, un mondo vissuto a lungo come serbatoio elettorale”, ha esordito il ministro dell’Interno. E poi: “C’è una mancanza di rispetto nei ragazzi e anche nei genitori. A volte sono molto più normali bimbi con qualche disabilità fisica e sensoriale di qualche genitore che si vorrebbe normodotato. E’ inaccettabile che vengano messe in discussione la serietà e la onorabilità di chi sta dietro la cattedra. Ho letto di quel ragazzino che ha preso 3 e ha fatto causa all’insegnante, ma quando accadeva a me io dovevo preoccuparmi di mio padre. Sono cose fuori dal mondo e bisogna imparare il rispetto”.

La proposta esistente dei sindaci

Sull’Educazione alla cittadinanza, in verità, esiste una proposta di legge popolare dei sindaci d’Italia, consegnata alla Cassazione lo scorso 14 giugno. Il sindaco di Bari, e presidente dell’Anci, Antonio Decaro spiega: “Siamo impegnati nella raccolta delle cinquantamila firme necessarie per depositare la legge per introdurre l’Educazione alla cittadinanza come materia obbligatoria nelle scuole. Abbiamo già illustrato la proposta al ministro Bussetti”. Anche in questo caso la vecchia Educazione civica si allarga ai temi digitali, ambientali, dei beni comuni. La stessa Buona scuola renziana, poi diventata Legge 107, aveva assegnato “all’insegnamento dell’Educazione alla cittadinanza una posizione più precisa all’interno dei programmi scolastici di tutte le scuole del nostro Paese” (parole dell’ex ministra Stefania Giannini). Nel 2015 non si istituì, tuttavia, una “nuova materia”, ma si spinse per “un insegnamento trasversale rafforzato”. Già, andando indietro nel tempo si trovano codificazioni di “Cittadinanza e Costituzione” in decreti presidenziali del marzo 1999 e, ancora, “a decorrere dall’inizio dell’anno scolastico 2008-2009”. La materia è sempre esistita – anche con i riferimenti alla scuola dell’infanzia – ed è stata affrontata con grande autonomia dalle scuole italiane.

Le iniziative regionali

Sull’argomento Educazione civica anche le regioni si sono mosse in autonomia. Il Veneto, per esempio. E l’Emila Romagna, che proprio in queste ore ha chiuso l’edizione di “conCittadini”, cento progetti e 35.400 studenti coinvolti su un percorso di cittadinanza attiva, memoria, legalità e diritti.

 

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Scuola, giovani iperconnessi.

Scuola, giovani iperconnessi.

“Una vita nei social, ma la tv resiste”

 

Il ritratto della Generazione Z, i nativi tecnologici che passano oltre cinque ore al giorno davanti a uno schermo. L’indagine su novemila ragazzi interpellati dalla comunità studentesca ScuolaZoo

di ILARIA VENTURI

 

Scuola, giovani iperconnessi, passano più di cinque ore al giorno davanti a uno schermo, sia ecco il pc o il telefonino, il tablet o la tv. Lo smartphone? “Dalla mattina fino all’infinito”: non lo spengono di notte, è la prima cosa che guardano al risveglio. “Ormai è un gesto automatico”, ammettono. Chattano, ascoltano musica, seguono gli youtuber. E leggono, ma praticamente solo online. Vivono nei social, eppure non disdegnano la televisione che non ha perso appeal, anzi si prende una sua rivincita tra i ragazzi rispetto a chi la voleva vedere dimenticata.
Ritratto della Generazione Z (o dei Centennial): i nati tra il 1995 e il 2010, fratelli minori dei Millenials, quelli che usano Internet sin dalla nascita. Ne sono stati fatti tanti, ci prova ora una ricerca condotta da ZooCom e da Havas Media attraverso un sondaggio realizzato sul profilo di ScuolaZoo, che ha coinvolto 9mila giovani dai 13 ai 35 anni, focus group con 72 ragazzi di Milano, Roma, Napoli e Padova e interviste a professionisti, animatori e manager della community studentesca.

“Siamo quelli delle spunte blu di Whatsapp, non conosciamo l’attesa in una relazione. Siamo quelli delle storie su Instagram e quelli di Snapchat: viviamo il presente come non mai. Ci connettiamo a tutto, ci soffermiamo su poco, ci appassioniamo parecchio”, aveva raccontato Giacomo Mazzariol, classe 1997, autore del recente libro “Gli squali”, nel suo viaggio su Repubblica. Questa nuova indagine tenta di capire i come e i perché: “Perché questi ragazzi accedono a Internet? Cosa fanno sui social media? Come entrano in contatto con le nuove tecnologie digitali? “Prima di indagare sulle cause e i motivi della presenza – si legge nella premessa – è necessario capire il momento in cui i ragazzi entrano per la prima volta in contatto con un dispositivo connesso a Internet. L’accesso alle piattaforme digitali avviene come un imprinting, da subito: non è infatti raro vedere dei bambini di 3-5 anni ipnotizzati dai video di Peppa Pig su Youtube”. Nativi tecnologici, dunque.

Lo smartphone? “E’ parte del corpo”
Lo smartphone è il contenitore di tutti i loro interessi. Lo usano per divertirsi (“cazzeggiare” riporta l’indagine riportando le motivazioni di quasi un quarto degli intervistati), per chattare (un quinto), per ascoltare la musica (dal 17 al 21% a seconda delle età), per guardare video (dal 14 al 17%) e per fare ricerche on line (dall’11 al 18%).

Davanti a uno schermo (telefonini, pc, tv, tablet) in media passano più di 5 ore al giorno. Chi ha tra i 13 e i 18 anni ci sta 5 ore e dieci minuti; chi tra i 19 e i 23 anni passa al cellulare o al pc cinque ore e mezze, poco di più chi ha tra i 24 e i 34 anni: 5 ore e tre quarti. Il cellulare è usato principalmente per passare da un social a un altro.

Il più utilizzato, per condividere passioni e interessi personali, è Instagram (99,58%): viene considerato importante “anche la dimensione del gossip: sono diventati dipendenti dalle storie attraverso le quali possono “spiare” amici e vip”. Segue Facebook (72,43%), anche se i più giovani lo usano solo occasionalmente: il 13% degli under 18 dice di non usarlo “perché infastidito dal fatto che ci sono anche i suoi parenti”. You Tube rimane uno dei canali preferiti e Snapchat (52%), racconta l’indagine, resiste grazie ai format video che alimentano le Instagram story. I più piccoli, per “mettersi un po’ in mostra”, usano Musically (18,38%) e ThisCrush (16%). Al contrario, Twitter (usato per le news politiche e per seguire i grandi show) e Linkedin vengono usati dai più grandi.

I like? Niente è casuale…
Quando esprimono una preferenza sui social perché lo fanno? Niente è casuale, spiega l’Indagine. Sono emersi cinque significati ricorrenti: la visibilità (avere tanti follower è sinonimo di desiderabilità, cuoricini e like influenzano l’autostima del 65% dei ragazzi intervistati); la conquista (un modo per corteggiare: metto tutti i like alle sue foto così mi nota, non lo faccio così “schiatta”); l’amicizia (si chiama easy like, non importa il contenuto, appena l’amico pubblica io gli assicuro un like); l’update (per mantenere attivi i rapporti). Infine c’è il “no like” usato per esprimere indifferenza.

Cosa cercano e inseguono sui social?
Abbigliamento, sport, cibo e bevande sono le tipologie più seguite via social. Il motivo? “Cercare qualcosa che stupisca e che scateni una reazione”. In media i ragazzi seguono 17 marche, senza particolari differenze per età. Instagram è il canale degli influencer “che si seguono perché pubblicano dei contenuti interessanti”.

 

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La nuova Maturità, possibili scritti misti

La nuova Maturità, possibili scritti misti:

Greco insieme a Latino, Fisica con Matematica

 

Scuola, dopo l’abolizione del quizzone ecco i quadri per l’Esame del prossimo giugno. A gennaio si sparà se ci sarà la “doppia prova”. Introdotte “griglie nazionali” per una valutazione omogenea sul territorio. Il ministro Bussetti: “All’orale portate la Costituzione”

di CORRADO ZUNINO

 

Il nuovo ministero dell’Istruzione mostra la nuova Maturità e offre le molte novità del prossimo Esame di Stato (che ancora una volta cambia, come annunciato con la circolare dello scorso 4 ottobre). Ai Licei classici ci potrà essere uno scritto cosiddetto misto: sia Greco che Latino. E allo Scientifico Matematica e Fisica insieme, materie che fino ad oggi venivano alternate. Se confermata a gennaio, la novità sarà dirompente.

Classico, tre domande dopo lo scritto

E’ la seconda prova quella che potrà essere rivista più profondamente, abbiamo visto. Nel dettaglio, sarà svolta il 20 giugno prossimo e i maturandi sceglieranno le discipline a gennaio (come negli anni precedenti). Per il Liceo classico, ad esempio, la prova sarà articolata in due parti. Ci sarà una versione, un testo in prosa corredato da informazioni sintetiche sull’opera, preceduta e seguita da parti tradotte per far conoscere il contesto del brano estrapolato e offerto agli studenti. Un contesto già tradotto e un brano scelto da tradurre. Tutto nuovo. Seguiranno tre domande relative alla comprensione e all’interpretazione del brano stesso e alla sua collocazione storico-culturale. Il ministero, come prevede la nuova normativa, potrà scegliere di offrire una prova mista con entrambe le discipline caratterizzanti: Latino e Greco. Il ministro Marco Bussetti sulla questione deciderà il prossimo gennaio. A febbraio arriverà, poi, la complessiva ordinanza sugli Esami, questa sarà anticipata di tre mesi.

Allo scientifico quattro risposte su otto

Per il Liceo scientifico la struttura della seconda prova prevede la soluzione di un problema a scelta del candidato tra due proposte e la risposta a quattro quesiti tra otto proposte. Anche in questo caso la prova potrà riguardare ambedue le discipline caratterizzanti: Matematica e Fisica.

Per gli Istituti tecnici la struttura dello scritto prevede una prima parte, che tutti i candidati sono tenuti a svolgere, seguita da una seconda parte che offre una serie di quesiti tra i quali il candidato sceglierà sulla base del numero indicato in calce al testo. Anche qui potranno essere coinvolte più discipline. Per esempio, per l’indirizzo Amministrazione, Finanza e Marketing l’elaborato consisterà in una delle seguenti tipologie: “Analisi di testi e documenti economici attinenti al percorso di studio; analisi di casi aziendali; simulazioni aziendali”.

Per gli Istituti professionali la seconda prova si comporrà di una parte definita a livello nazionale e di una seconda parte predisposta dalla singola Commissione, per tenere conto della specificità dell’offerta formativa dell’Istituzione scolastica.

Scritto di Italiano, una prova “dall’Unità ai nostri giorni”

La nuova Maturità, questo è noto, prevede due scritti invece di tre con l’eliminazione della terza prova: il quizzone, introdotto nel 1997 da Luigi Berlinguer. Per quanto riguarda la prima prova – il testo scritto in Italiano appunto, da svolgere il prossimo 19 giugno – i maturandi dovranno innanzitutto dimostrare di “padroneggiare il patrimonio lessicale ed espressivo della lingua italiana secondo le esigenze comunicative nei vari contesti” e, per la parte letteraria, “di aver raggiunto un’adeguata competenza sull’evoluzione della civiltà artistica e letteraria italiana dall’Unità ad oggi”. Una scuola che fatica ad arrivare alla Storia e alla Letteratura contemporanee dovrà dare un’accelerazione allo studio dei programmi di quinta. Ancora, i testi prodotti saranno valutati “in base alla loro coerenza, alla ricchezza e alla padronanza lessicali, all’ampiezza e precisione delle conoscenze e dei riferimenti culturali, alla capacità di esprimere giudizi critici e valutazioni personali”. La prova di Italiano avrà una durata di sei ore. I candidati all’Esame dovranno produrre un elaborato scegliendo tra sette tracce riferite a tre tipologie (A, due tracce – analisi del testo; tipologia B, tre tracce – analisi e produzione di un testo argomentativo; tipologia C, due tracce – riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità). Le tracce potranno essere offerte da un ambito artistico, letterario, filosofico, scientifico, storico, sociale, economico e tecnologico.

All’orale Alternanza scuola lavoro e Costituzione. Anche in Inglese

Per la prova orale la commissione proporrà ai candidati di analizzare testi, documenti, esperienze, progetti e problemi “per verificare l’acquisizione dei contenuti delle singole discipline, la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite e di collegarle per argomentare in maniera critica e personale”. Si potrà fare questo utilizzando, in parte, la lingua straniera. Nel corso del colloquio il candidato esporrà, “con una breve relazione o un elaborato multimediale”, le esperienze di Alternanza scuola lavoro svolte. L’Alternanza, si sa, il colloquio accerterà anche le conoscenze e le competenze maturate nell’ambito delle attività di Cittadinanza e Costituzione. La commissione dovrà tenere conto di quanto diranno i docenti nel documento che indicherà il percorso effettivamente svolto.

La valutazione nazionale per appianare i giudizi

Con i quadri pubblicati oggi – i quadri di riferimento di tutte le materie sono pubblicati a questo indirizzo: http://www.miur.gov.it/web/guest/news/-/asset_publisher/ubIwoWFcqWhG/content/esami-di-stato-del-secondo-ciclo-di-istruzione-a-s-2018-2019-d-m-769-del-26-novembre-2018 – si cerca di offire griglie uguali per tutti con la finalità di dare un voto con gli stessi paramentri su tutto il territorio nazionale. In passato, si è molto scritto dei voti più alti nelle regioni del Sud e un ministro di espressione leghista ha voluto tener conto di questo aspetto: “Garantiremo maggiore equità e più omogeneità nelle correzioni”. Docenti e studenti potranno iniziare a esercitarsi con specifiche simulazioni. Il Miur, a partire dal mese di dicembre, metterà a disposizione tracce-tipo per accompagnare ragazzi e insegnanti verso il nuovo Esame.

Dichiara il ministro Marco Bussetti: “AIla luce delle nuove regole lavorereremo affinché le tracce siano davvero corrispondenti con quanto fatto dai ragazzi durante il percorso di studi, fornendo apposite indicazioni agli esperti che dovranno produrre i testi. Nei prossimi giorni partirà un Piano di informazione e formazione che accompagnerà le scuole. Da domani ci saranno conferenze di servizio sull’intero territorio nazionale che proseguiranno nelle prossime settimane”.

Bisogna ricordare che nel voto finale avrà più peso il percorso di studi del triennio: fino a 40 punti su 100, invece degli attuali 25. Alla Commissione spettano poi fino a 60 punti: massimo 20 per ciascuna prova scritta e per l’orale. Per l’ammissione all’esame conterà la frequenza a scuola – almeno i tre quarti delle ore previste di lezione – e il 6 in ciascuna disciplina, compresa la sufficienza nel comportamento.

 

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Scuola, docenti italiani i meno rispettati dagli studenti

Ricerca del Global teacher status index: “Il Paese al 33° posto su 35, peggio solo Brasile e Israele. Questo influisce sul rendimento degli alunni”

di CATERINA PASOLINI

 

Scuola, docenti italiani i meno rispettati dagli studenti.

Una docente presa a sediate dagli studenti, una mamma che sputa addosso alla maestra della figlia. E’ cronaca degli ultimi giorni a confermare quello che dicono le statistiche internazionali: l’Italia è tra gli ultimi paesi al mondo per rispetto nei confronti di chi insegna.

A dirlo con i numeri l’indagine del Global teacher status index, fatto grazie a 35mila intervistati tra i 16 e i 65 anni. Il nostro paese è al 33 posto su 35 per quanto riguarda lo status degli insegnanti, il rispetto degli alunni per chi sta in cattedra è in linea. E il mancato rispetto va di pari passo con i cattivi risultati degli studenti: anche loro agli ultimi posti nei test internazionali Pisa di matematica e lettura.

“Questo indice fornisce finalmente una prova accademica a qualcosa che abbiamo sempre saputo istintivamente: il legame tra lo status degli insegnanti nella società e il rendimento dei bambini a scuola. Ora possiamo affermare senza ombra di dubbio che il rispetto degli insegnanti non è solo un importante dovere morale, ma è essenziale per i risultati scolastici di un paese” dice Sunny Varkey della Varkey foundation che ogni anno organizza il global teacher prize per il miglior professore del mondo, un modo per ricordare l’importanza dei docenti nella costruzione del futuro del pianeta

Solo il 16% degli italiani intervistati ritiene infatti che gli studenti i rispettino i propri insegnanti. Si tratta del sesto dato più basso tra tutti i paesi intervistati e del più basso in assoluto tra le grandi economie europee. Un dato che colloca l’Italia nel mondo molto più indietro rispetto alla Cina, dove l’81% degli intervistati ritiene che gli alunni rispettino i propri insegnanti. E va sempre peggio. Gli italiani credono che il rispetto degli alunni per gli insegnanti sia diminuito dal 2013 quando era il 20%

Eppure nonostante tutto questo, quasi un italiano su tre (il 31%) spingerebbe il proprio figlio a diventare insegnante. Probabilmente nella speranza di sfuggire alla crisi trovandosi un posto mal retribuito ma fisso, sicuro.  La nostra rappresenta infatti la seconda percentuale più alta tra le maggiori economie dell’UE dopo la Spagna (39%), con un aumento rispetto al 2013, anno in cui la stessa si fermava al 28%.

E parlando di retribuzioni,  la metà degli intervistati ritiene che gli insegnanti dovrebbero essere pagati in base ai risultati dei loro alunni, mentre quelli contrari all’idea sono poco più di un quarto (26%). Attrae meno che in passato l’idea che lo stipendio sia legato ai risultati. Nel 2013 il 67% era favorevole, ora il 50.

In merito allo status degli insegnanti, l’Italia ottiene una delle posizioni più basse tra i paesi intervistati, posizionandosi al 33° posto su 35 nel Global Teacher Status Index 2018. Solo Israele e Brasile si collocano più in basso. Lo status degli insegnanti e i risultati degli alunni in Italia corrispondono; infatti, il punteggio estremamente basso è in linea con il diciannovesimo posto ottenuto tra i paesi intervistati in relazione ai punteggi PISA, che valutano i risultati in matematica e lettura.

 

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Scuola, l’ascensore sociale è fermo.

Scuola, l’ascensore sociale è fermo: solo il 12% dei ragazzi svantaggiati riesce bene negli studi

I dati del rapporto Ocse-Pisa “Equity in education”. Le difficoltà si vedono già a 10 anni. Il livello culturale dei genitori influsice anche sulla scelta di garantire ai figli insegnanti migliori

di CORRADO ZUNINO

 

ROMA – Nelle nostre classi disuguali solo il 12 per cento degli studenti più svantaggiati sulla scala socio-economica entra nel novero dei “più bravi”. Uno ogni otto. La conferma del fatto che l’ascensore sociale è fermo emerge dal nuovo rapporto sulle disuguaglianze a scuola redatto dall’Ocse, “Equity in education”, che già dal titolo racconta, e questo vale in tutto il mondo industrializzato, come gli svantaggi scolastici inizino a manifestarsi già a dieci anni. Da noi è l’età della quinta elementare.

I tre ingredienti della resilienza

Dicevamo quel 12 per cento, povero, che resiste. E che frequenta, perlopiù, un liceo. S’interrogano i ricercatori dello studio internazionale: dove si trova la forza, che cosa ispira la resilienza di questo gruppo che ha compreso presto come la scuola sia la prima e più alta opportunità di cambiamento delle singole vite? Il direttore di Ocse education, Andreas Schleicher, indica tre motivazioni alla base di questo successo di nicchia: l’assiduità del ragazzo in classe, l’origine sociale “media” degli altri studenti dell’istituto (se un povero fosse inserito in un contesto di ricchi pagherebbe maggiormente questa distanza) e un migliore “clima di disciplina” a scuola. Le strutture più organizzate e serie servono soprattutto ai meno abbienti.

Ecco, in Italia, come spiega l’analista Francesco Avvisati che ha curato il focus nel perimetro del nostro Paese, le competenze acquisite sono legate fortemente all’origine sociale. Sulla scala Pisa, più di 150 punti separano la valutazione media del 25 per cento più bravo dal punteggio raggiunto dal 25 per cento più svantaggiato. I dati presi in esame sono quelli della stagione 2014-2015, la grande indagine che ora viene analizzata nei suoi dettagli.

 

Il tasso di segregazione

La metà degli studenti meno abbienti frequenta il 25 per cento delle scuole più svantaggiate del Paese, ancora. Solo il 6 per cento viene iscritto negli istituti prestigiosi.  L’Ocse lo chiama “livello di segregazione” e dice che l’Italia è nella media degli altri 34 Paesi testati. Tra l’altro, l’organizzazione di Parigi aveva già messo in rilievo come il buon inserimento di “alunni svantaggiati” costituisca una risorsa per tutti, figli di famiglia bene compresi.  La percentuale di studenti svantaggiati che dichiara di “sentirsi nel suo ambiente” a scuola è diminuita, tra il 2003 e il 2015, dall’85 per cento al 64 per cento, un calo più significativo – quasi venti punti – di quello registrato nel resto della popolazione.

L’importanza della cultura dei genitori

Va ricordato che in Italia, secondo dati raccolti nel 2012, solo il nove per cento dei 25-64enni i cui genitori non hanno raggiunto il livello d’istruzione secondario superiore ha completato gli studi a livello terziario (la media Ocse è del 21 per cento). La percentuale sale al 59 per cento (cinque volte tanto) tra coloro con almeno un genitore con un’istruzione secondaria superiore e addirittura all’87 per cento tra coloro che hanno un genitore laureato. L’81 per cento degli adulti con padre e madre senza un livello d’istruzione da maturità ha terminato gli studi allo stesso ciclo d’istruzione:  significa che solo il 19 per cento, uno su cinque, è riuscito a raggiungere un livello di formazione e competenze più elevato rispetto ai propri genitori.

La scelta degli insegnanti

L’origine sociale incide fortemente anche nella scelta dei docenti cui affidare la preparazione dei figli. Il rapporto pubblicato a giugno 2018 sottolineava le forti iniquità nelle possibilità di accesso a insegnanti esperti e qualificati. Le scuole superiori con una maggiore concentrazione di studenti svantaggiati tendono ad avere una percentuale minore di insegnanti abilitati (83 per cento contro il 97). Le scuole difficili e periferiche, nel 2015, avevano più insegnanti precari: 26 per cento tra i docenti di scienze, per esempio, contro il 12 per cento degli istituti blasonati. In generale, nelle scuole di periferie vi sono insegnanti più giovani (meno esperienza) che lasciano più in fretta l’istituto assegnato.

 

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Professori al ministro: “Faremo politica a scuola”.

Professori al ministro: “Faremo politica a scuola”.

Professori al ministro: “Faremo politica a scuola. Non quella urlata dei politici, quella vera”.

 

Un gruppo di docenti scrive a Bussetti facendo propria la missiva del collega Enrico Galiano a Salvini sulla libertà di insegnamento. Il leader della Lega aveva twittato: “Avanti futuro! Basta politica in classe”

di SALVO INTRAVAIA

 

“Egregio Signor Ministro, continueremo a fare politica in classe. Ma non quella urlata dei politici attuali, quella vera”. Un gruppo di docenti italiani invia una lettera al ministro dell’Istruzione Marco Bussetti “adottando” e facendo propria la missiva inoltrata a settembre dal professore Enrico Galiano al ministro dell’Interno Matteo Salvini, che si augurava che i docenti non facessero politica a scuola.

“Siamo un gruppo di docenti della scuola pubblica statale, provenienti da varie regioni italiane. Abbiamo condiviso il testo di questa lettera – si legge nella missiva – scritta da Enrico Galiano e la stiamo diffondendo in rete, fra le nostre colleghe e i nostri colleghi docenti, in quanto riteniamo necessario che, sul tema della libertà d’insegnamento, si sviluppi un grande dibattito nel Paese, che vada oltre i confini degli addetti ai lavori”.

Per il gruppo di insegnanti “il ruolo sociale della scuola e di chi ci lavora è fondamentale, a partire dal dettato costituzionale, per la difesa e la piena attuazione della democrazia. Per questo, ogni giorno, nelle aule dove siamo chiamati a svolgere il nostro compito di educatrici ed educatori delle generazioni più giovani, terremo sempre presente il valore della libertà di pensiero e d’insegnamento, affinché le ragazze e i ragazzi italiani, non solo per nascita, imparino a comprendere e a riaffermare in tutti gli atti della loro vita questi valori”. Nella lettera a Salvini il professor Galiano rispondeva al tweet del ministro (“Per fortuna gli insegnanti che fanno politica in classe sono sempre meno, avanti futuro!”) in questo modo: “Io faccio e farò sempre politica in classe”.

Precisando poi di quale politica si tratta. “Il punto – spiega il docente – è che la politica che faccio e che farò non è quella delle tifoserie, dello schierarsi da una qualche parte e cercare di portare i ragazzi a pensarla come te a tutti i costi. Non è così che funziona la vera politica. La politica che faccio e che farò è quella nella sua accezione più alta: come vivere bene in comunità, come diventare buoni cittadini, come costruire insieme una polis forte, bella, sicura, luminosa e illuminata. Ha tutto un altro sapore, detta così, vero? Sì, perché fare politica non vuol dire spingere i ragazzi a pensarla come te: vuol dire spingerli a pensare. Punto. È così che si costruisce una città migliore: tirando su cittadini che sanno scegliere con la propria testa. Non farlo più non significa “avanti futuro”, ma ritorno al passato”.

 

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Nuova maturità 2019

Nuova maturità 2019: cosa sapere

Di Maria Carola Pisano.

 

Maturità 2019: tutte le novità dell’esame di Stato appena pubblicate dal Miur. Ecco tutto quello che devi sapere

 

Le aspettavamo da tanto e sono arrivate il 4 ottobre: parliamo delle news, attese in realtà per fine settembre, della maturità 2019 (qui tutte le novità). A giugno gli studenti affronteranno un esame di Stato molto diverso, a partire dalla prima prova che è stata del tutto rinnovata dalla commissione guidata dal linguista Luca Serianni. Il Miur conferma l’assenza dell’alternanza scuola lavoro all’esame orale e ribadisce che i test Invalsi non saranno obbligatori ai fini dell’ammissione. Confermati anche i voti delle prove e il valore dei crediti scolastici – che passa da 25 a 40. Grandi novità, invece, per la prima prova e la seconda prova 2019.

PRIMA PROVA MATURITÀ 2019: COME CAMBIA

La prima prova di maturità 2019 è quella che ha subito più cambiamenti delle altre.

La prima novità dello scritto di italiano riguarda la tipologia A, l’analisi del testo. Il Miur proporrà quest’anno due tracce di due autori diversi, scelti a partire dal periodo storico dell’Unità d’Italia, come anticipato mesi fa dal Ministero dell’Istruzione. La tipologia B consiste, invece, nell’analisi e produzione di un testo argomentativo. La traccia chiederà agli studenti una interpretazione e una riflessione del documento proposto. Per quanto riguarda la tipologia C, invece, il Miur proporrà tracce vicine alle esperienze di studenti e studentesse

 

SECONDA PROVA 2019: COSA CAMBIA

La seconda prova scritta del 20 giugno riguarderà una o più discipline caratterizzanti i percorsi di studio. Con la circolare inviata oggi si forniscono alle scuole le prime indicazioni sulla seconda prova, con una novità: saranno previste, secondo la nuova normativa vigente, griglie nazionali di valutazione che saranno fornite alle commissioni per una correzione più omogenea ed equa. Le griglie ci saranno anche per la correzione della prova di italiano.

 

Tutte le novità appena annunciate dal Miur sull’esame di Stato 2019:

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Scuola negata ai disabili, scoppia la protesta

Scuola negata ai disabili, scoppia la protesta: “Sospendete le lezioni per tutti”

I servizi di assistenza ancora non sono partiti. La solidarietà dei presidi: “Se potessimo chiuderemmo gli istituti”. E c’è chi fa lo sciopero della fame

di SALVO INTRAVAIA

 

“Se potessi farlo, chiuderei davvero la scuola per protesta”. I genitori degli studenti disabili, costretti a rimanere a casa per la mancanza di assistenza che dovrebbe assicurare la Città metropolitana (la ex Provincia regionale), chiamano in causa i dirigenti scolastici e questi si schierano totalmente dalla loro parte. Perché dopo due settimane di lezione non tutti gli studenti disabili sono riusciti ad entrare in classe. E la polemica divampa. Dall’account Facebook #SiamoHandicappatiNoCretini parte la richiesta ai capi d’istituto di “interrompere le attività didattiche finché non ci saranno pari diritti per tutti”. Mentre il presidente dell’Anffas Sicilia, Antonio Costanza, (l’Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale) ha iniziato ieri lo sciopero della fame.

“E’ intollerabile che nel 2018 i servizi a supporto degli alunni disabili non inizino il primo giorno di scuola. Proseguirò lo sciopero – continua Costanza – fino a quando non avremo risposte dalle istituzioni: quando i nostri alunni avranno i servizi che spettano loro di diritto”. Una richiesta che trova d’accordo il preside del liceo artistico Catalano, Maurizio Cusumano, dove studiano 45 alunni disabili. “Se potessi farlo, chiuderei davvero la scuola in segno di vicinanza a tutti gli alunni disabili che non possono raggiungere le scuole. Ma non posso”.

“E’ aberrante – continua – che ogni anno ci si debba trovare in queste condizioni. Sono nauseato”. Le scuole inviano, per il tramite dell’Ufficio scolastico regionale, alla Città metropolitana di Palermo le istanze con i servizi richiesti a giugno. Evidentemente, non bastano due mesi abbondanti per approntare il tutto. Sono circa 400 gli studenti delle superiori di Palermo e provincia che hanno richiesto l’assistenza igienico-sanitaria e il trasporto-disabili. Per molti è impossibile raggiungere la scuola con mezzi propri. “Non capisco – dice Eliana Romano, a capo dell’istituto Ferrara in pieno centro storico – come ci si possa trovare ogni anno di fronte allo stesso problema. Bisognerebbe pensarci prima. La mia scuola è frequentata da 24 alunni disabili e per fortuna molti sono autonomi, ma uno non frequenta”.

“E’ assurdo – incalza Pia Blandano, preside del liceo Regina Margherita di Palermo – E’ ovvio che si lede il diritto allo studio di questi ragazzi ma non si riesce a risolvere il problema. Probabilmente, c’è un problema sui bilanci dell’ex Provincia. Ovviamente non possiamo chiudere la scuola, si tratta di una provocazione che comprendo”. Al Regina Margherita sono 60 gli alunni diversamente abili. Più di metà dipendono dal trasporto disabili e dagli assistenti e frequentano la scuola a singhiozzo, in base alle disponibilità dei genitori di accompagnarli e riprenderli dopo le lezioni. “Una mamma – conclude Blandano – mi ha detto che può accompagnare la figlia solo per due ore a settimana. Ma purtroppo anche quando partirà il servizio, se sarà come quello dell’anno scorso, si risolveranno i problemi solo in parte

 

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Via all’anno scolastico con 75mila alunni in meno

Via all’anno scolastico con 75mila alunni in meno. Piace il liceo classico, fuga dal latino allo scientifico

Record di bambini e ragazzi disabili e alunni stranieri che tornano a crescere: il report del ministero dell’Istruzione

di SALVO INTRAVAIA

 

Meno plessi scolastici e meno alunni seduti in classe. Record di bambini e ragazzi disabili e alunni stranieri che tornano a crescere. In ripresa il liceo classico ma è fuga dal latino allo scientifico. Notte fonda invece per gli istituti professionali che continuano a perdere adepti. Domani mattina alle 8 in punto, quasi un milione di alunni di Abruzzo, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte faranno il loro primo ingresso in aula. Dal 12 settembre al 20, con la Puglia che chiude la lista, 7milioni e 768mila alunni delle scuole statali avranno iniziato le lezioni per il 2018/21019. Il ministero dell’Istruzione ha pubblicato l’annuale report con tutti i numeri dell’anno in questione.

Per effetto delle razionalizzazioni regionali, calano di quasi 181 unità le sedi dove si svolgeranno le lezioni. E il calo della popolazione scolastica, già prevista dalle statistiche dell’Istat, comincia a prendere forma: meno 75mila alunni in un solo anno, quasi tutti concentrati nella scuola dell’infanzia e nella primaria, e 121mila in meno in cinque anni. Di contro, aumenteranno gli alunni stranieri che, dopo un arresto del trend positivo, torneranno a crescere a buon ritmo: la previsione del Miur è di 788mila alunni non italiani, più 4 per cento rispetto all’anno scorso. Con record alla scuola media, che incrementerà la presenza straniera tra i banchi dell’8 per cento.

Dopo le prime avvisaglie degli anni scorsi, i numeri confermano il ritorno dei ragazzini di scuola media al ginnasio. Il liceo classico registra 2.200 alunni in più di 12 mesi fa, per un totale di 150mila presenze nei cinque anni. Ma allo scientifico è fuga dal Latino. Chi può e chi non ce la fa a tenere il ritmo del percorso ordinamentale preferisce virare sulle opzioni (scienze applicate e liceo sportivo) che non contemplano lo studio della lingua di Cicerone. In cinque anni, l’indirizzo dello scientifico ordinario (col latino) ha perso 88mila iscritti mentre i due indirizzi senza latino, che molti considerano light, conteggiano 89mila iscritti in più. E continua la licealizzazione della scuola superiore, in cui 49 ragazzi su cento sono in forza ai licei.

Tengono, con il 31,5 per cento di presenze in classe, gli istituti tecnici e continuano a contare meno alunni gli istituti professionali che negli ultimi anni sono andati incontro a ben due riforme. I 513mila iscritti rappresentano meno del 20 per cento di tutti i ragazzi delle superiori. Un record negativo. Che si contrappone al nuovo primato (245mila) di alunni disabili, 11mila in più rispetto allo scorso anno. Un fenomeno che farà crescere di 3mila unità anche i docenti specializzati nell’insegnamento ai soggetti disabili: gli insegnanti di sostegno che tuttavia, percentualmente, dovranno seguire più alunni in contemporanea: 1,74 a testa.

 

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A Piacenza la prima scuola cellulari-free.

Anche il Parini come la scuola di Piacenza……….

A Piacenza la prima scuola cellulari-free. Una lettera avverte i genitori.

L’istituto sportivo San Benedetto si doterà di speciali tasche che schermano i dispositivi

 

Una scuola cellulari free. Sarà la prima in Italia. Per rieducare i ragazzini alla socializzazione. Il liceo sportivo San Benedetto ha inviato una lettera alle famiglie per avvertirle che da lunedì i loro figli non potranno usare il cellulare in classe. “Seppur consapevoli della grande utilità dei cellulari, crediamo che il loro utilizzo diventi sempre più una fonte di distrazione, di comportamenti asociali e di conflitto sia a scuola che a casa”. La dirigenza del Liceo San Benedetto di Piacenza lo ha scritto in una lettera ai genitori degli studenti che, lunedì, primo giorno di scuola, troveranno una novità: l’istituto si doterà di un sistema per impedire agli studenti l’uso del cellulare a scuola, ricreazione compresa.

E’ la speciale tasca Yondr che scherma i dispositivi: una volta chiusa dall’insegnante alla prima ora, potrà esser sbloccata solo dagli stessi docenti, che lo faranno al termine dell’ultima lezione, tramite un’apposita base. Gli studenti potranno tenere con sé lo smartphone, reso inefficace. “Siamo la prima scuola phone-free di Italia”, dicono all’istituto. “Ricerche hanno dimostrato – prosegue la lettera – che la semplice presenza di cellulari nelle aule può avere un’influenza negativa sulla performance degli studenti”

L’istituo spiega che la sperimentazione in molte scuole americaneè stata utile anche per rieducare i teen-ager, che spesso si isolano anche nel contesto scolastico, alla socialità.

Attualmente le tasche Yondr, prodotte da un’azienda statunitense, sono utilizzate in centinaia di scuole nel mondo, ma anche a concerti e altri spettacoli, in tribunali, ai matrimoni o eventi dedicati ai bambini. “Dobbiamo ricordarci che l’obiettivo di questi spazi – scrive ancora la scuola ai genitori – è di incoraggiare le persone a relazionarsi l’una all’altra e al contesto”. E, riferendosi allo stop nell’uso dei cellulari, aggiunge: “Crediamo fermamente che ciò permetterà ai nostri studenti di essere maggiormente coinvolti nelle attività di classe e nei compiti, meno dipendenti dalla tecnologia nello svolgimento dei compiti in classe, meno coinvolti in atti di cyberbullismo, meno distratti e meno portati a procrastinare i compiti assegnati”.

 

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