L’università perde professori e ricercatori

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L’università perde professori e ricercatori

L’università perde professori e ricercatori: in sette anni quasi cinquemila in meno.

L’università perde professori e ricercatori, sempre meno toghe. E sempre più precarie: assegnisti di ricerca e docenti a contratto. , s L’università italiana ha perso per strada in sette anni 4.650  professori e ricercatori (il 7,9%): erano 58.885 nel 2010-11, sono 54.235 nel 2016-17. In particolare, diminuiscono di quasi un quinto gli ordinari (da 15.169 a 12.156) e i ricercatori (da 24.530 a 19.737), mentre per effetto del piano straordinario, con le tornate di abilitazioni degli ultimi anni, gli associati segnano un più 16,7%. Insomma il blocco del turnover, che negli anni passati ha frenato il reclutamento negli atenei, si è fatto sentire e i numeri lo dimostrano. In compenso salgono i titolari di assegni di ricerca, studiosi precari con contratti rinnovabili sino a 4 anni: sono cresciuti da 13.109 nel 2010-11 a 13.946 nel 2016-17 (+6,4%). In generale, tenendo conto anche di questo balzo in avanti degli assegnisti, i ricercatori arrivano così a superare i professori ordinari e associati: i primi salgono al 28,1%, gli altri si fermano al 26,2%. È la fotografia scattata dal ministero nel Focus sul personale docente e non docente nel sistema universitario italiano appena pubblicato e che riguarda l’anno accademico 2016-2017.

· POCHE DONNE IN TOGA E QUASI 26MILA DOCENTI A CONTRATTO
Rispetto al 2010-11 la consistenza del personale universitario, pari a 125.600 dipendenti tra docenti e amministrativi, è diminuita del 6,5%. La riduzione coinvolge i professori (-7,9%), i collaboratori linguistici (-7,8%) e il personale tecnico amministratvio (-7,5% a tempo indeterminato; -13,8% a tempo determinato). A questi vanno aggiunti 25.770 docenti, non di ruolo, titolari di contratti di insegnamento nei corsi universitari.

Le differenze di genere si fanno sentire. Se le donne costituiscono più della metà del personale tecnico-amministrativo (58,5%), tra i docenti e ricercatori la loro presenza scende al 40%. Ed è soprattutto ai vertici della carriera accademica che le donne sono poco rappresentate. Nulla di nuovo sotto il sole: le dirigenti sono il 40%. Per le docenti il rapporto parla di “segregazione verticale”: la loro presenza diminuisce al progredire della carriera. Infatti, la percentuale di donne supera seppur di poco la metà tra i titolari di assegni di ricerca (50,7%), raggiunge quasi il 47% tra i ricercatori e, via via, si riduce al 37,2% tra i professori associati ed al 22,3% tra gli ordinari. Tale situazione, precisa il Miur, è abbastanza comune e diffusa anche in altri paesi europei: la percentuale di donne afferenti al Grade A, corrispondente alla posizione di full professor (professori ordinari per l’Italia), in Europa è pari a circa il 21%.

L'università perde professori e ricercatori: in sette anni quasi cinquemila in meno

Fonte Miur

· LA PIRAMIDE ACCADEMICA. ETA’ MEDIA? 52 ANNI
Il mondo accademico, formato da 64.321 unità nelle università statali, si conferma a forma di piramide. I professori ordinari, che sono il 18,9%, rappresentano il vertice. Chi svolge quasi esclusivamente attività di ricerca (titolari di assegni e ricercatori) forma la base: sono il 51,6%. La distribuzione degli accademici per settori scientifico-disciplinari non è omogenea: in percentuale, il maggior numero di docenti e ricercatori afferisce all’area delle Scienze mediche (16,3%) mentre appena il 2% afferisce all’area Scienze della terra. La composizione di ciascuna area per qualifica evidenzia, inoltre, che nelle aree di Scienze giuridiche e di Scienze economiche e statistiche circa il 57% del personale docente e ricercatore è costituito da professori ordinari ed associati, mentre ai Scienze biologiche i ricercatori ed i titolari di assegni di ricerca rappresentano poco più del 60% del personale. L’età media? È pari a 52 anni: si va dai 59 anni dei professori ordinari, ai 52 anni dei professori associati fino ai quasi 47 anni dei ricercatori. Includendo anche i titolari di assegni di ricerca l’età media complessiva scende a 48 anni.

 

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Rinnovo contratto scuola

Rinnovo contratto scuola, dopo nove anni firmato nuovo contratto nazionale: aumento stipendio di 85 euro

Riguarda un milione di addetti ai lavori: docenti e Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari) e comprende gli addetti dell’università e della ricerca

Sono circa 200mila gli addetti dell’Alta formazione artistica e musicale (Afam), i ricercatori, i tecnologi, i tecnici e gli amministrativi degli Enti di ricerca e delle università.Per i docenti della scuola, “gli aumenti salariali – spiegano i sindacati – sono in linea con quanto stabilito dalle confederazioni con l’accordo del 30 novembre 2016; da un minimo di 80,40 euro a un massimo di 110,70 euro”. E resta, per le fasce retributive più basse, il bonus fiscale di 80 euro.
“Nessun aumento – puntualizzano i rappresentanti dei lavoratori – di carichi e orari di lavoro, nessun arretramento per quanto riguarda le tutele e i diritti nella parte normativa, nella quale al contrario si introducono nuove opportunità di accedere a permessi retribuiti per motivi personali e familiari o previsti da particolari disposizioni di legge”.
Il bonus per il merito, che ha creato tantissime divisioni all’interno delle scuole in passato, non verrà più distribuito interamente dai dirigenti scolastici ma confluirà in parte (il 70 per cento il primo anno e a decrescere negli anni successivi) nelle tasche degli insegnanti attraverso gli aumenti di stipendio e la restante parte (il 30 per cento, sempre il primo anno) verrà assegnato sempre dai capi d’istituto ma in base alle regole contrattate a livello di istituzione scolastica.
La questione delle sanzioni disciplinari, che ha tenuto in sospeso la conclusione dell’accordo, viene rinviata ad una successiva tornata contrattuale.Mentre la mansione di tutor dell’alternanza scuola-lavoro sarà obbligatoria ma “incentivata” e cioè retribuita a parte.
Verranno mantenuti all’interno del borsellino elettronico i 500 euro per la formazione degli insegnanti per l’acquisti di computer, tablet e corsi di formazione.
Accolta la richiesta da parte degli insegnanti che non riceveranno più e-mail e messaggi anche di notte per riunioni o comunicazioni: il nuovo contratto prevede “il diritto alla disconnessione, a tutela della dignità del lavoro, messo al riparo dall’invasività delle comunicazioni affidate alle nuove tecnologie”, spiegano i sindacati.
Sempre per i docenti della scuola, le riunioni pomeridiane (consigli di classe, collegi dei docenti, ricevimenti dei genitori) passano da 40 ore più 40 ore a 80 complessive.
La formazione in servizio diventa obbligatoria, ma sarà il Collegio e la contrattazione scolastica a stabilire il monte ore complessivo annuale. “Il contratto – commentano Flc Cgil, Cisl e Uil – segna una svolta significativa sul terreno delle relazioni sindacali, riportando alla contrattazione materie importanti come la formazione e le risorse destinate alla valorizzazione professionale. Rafforzati tutti i livelli di contrattazione, a partire dai luoghi di lavoro, valorizzando in tal modo il ruolo delle Rsu (la Rappresentanza sindacale unitaria del singolo istituto) nell’imminenza del loro rinnovo”.
Il contratto appena sottoscritto, che vale per il triennio 2016/2018, scadrà il prossimo mese di dicembre. E già si pensa a quello successivo. “Siamo andati oltre, riuscendo a garantire aumenti superiori a quelli previsti, con l’obiettivo di dare – commenta soddisfatta la ministra Valeria Fedeli – il giusto e necessario riconoscimento professionale ed economico alle nostre lavoratrici e ai nostri lavoratori”. Ecco, nello specifico gli aumenti che dovrebbero scattare a marzo o aprile: 96 euro in media al mese per i docenti delle scuole e 105 euro al mese per i colleghi dell’Afam. “Per gli ATA delle scuole – calcolano al Miur – l’incremento medio è di 84,5 euro (si va da un minimo di 80 a 89 euro), per l’università di 82 euro, per ricercatori e tecnologi di 125 euro, per l’area amministrativa della ricerca di 92 euro, per l’ASI di 118 euro. Salvaguardato, per le fasce retributive più basse, il bonus di 80 euro”.
Ma non solo aumenti. Sono previste “Misure disciplinari – annunciano da viale Trastevere – per chi usa in modo improprio, ovvero con fini non coerenti con l’obiettivo dell’istruzione, della formazione e dell’orientamento, i canali di comunicazione informatici o i social per relazionarsi con gli studenti”. Entro luglio è previsto il rinnovo del codice etico.
E per i docenti che violassero la fiducia accordata dalle famiglie, “mettendo in atto comportamenti o molestie di carattere sessuale nei confronti dei loro alunni” è previsto il licenziamento.
Per le università, “si prevedono misure innovative per il personale che lavora nelle Aziende ospedaliere nonché per i collaboratori ed esperti linguistici, risolvendo alcune questioni rimaste aperte da tempo e mai risolte.
Per gli Enti di ricerca si confermano le forti specificità per il ruolo e per l’importanza che rivestono i ricercatori e tecnologi per la crescita e l’evoluzione del sistema Paese.
E per il personale Afam si prevede che il ruolo di professore di seconda fascia divenga ad esaurimento, puntando a un modello che vede il passaggio verso la prima fascia e fatte salve le graduatorie esistenti”, concludono dal ministero.

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Scuola, altolà di Fedeli: “Inaccettabili le pubblicità classiste dei licei”

Scuola, altolà di Fedeli: “Inaccettabili le pubblicità classiste dei licei”

L’intervento della ministra dopo la denuncia di “Repubblica” sugli istituti che presentano come un vantaggio l’assenza fra gli alunni di poveri, disabili e stranieri. “Così si viola la Costituzione e si nega la nostra vocazione all’accoglienza. Ho chiesto un monitoraggio all’Invalsi, prenderemo provvedimenti”

Le scuole che, per attrarre studenti, “descrivono come un vantaggio l’assenza di stranieri o di studenti provenienti da zone svantaggiate o di condizione socio-economica e culturale non elevata” violano i principi della Costituzione e travisano completamente il ruolo della scuola.  A dirlo è la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, dopo la denuncia di “Repubblica” che ha raccontato come molti licei, da Milano a Roma, presentino come propri punti di forza (che favoriscono “la coesione” e “l’apprendimento”) proprio l’assenza tra gli alunni di ragazzi di origine straniera, poveri e disabili.

Accade sul portale istituzionale “Scuola in chiaro”, dove ogni istituto pubblica il proprio Rav (Rapporto di autovalutazione): uno strumento nato per aiutare ragazzi e famiglie a scegliere la scuola confrontando le diverse opzioni. Diversi i casi citati da “Repubblica”: “Tranne un paio, gli studenti sono italiani e nessuno è disabile”, scrive ad esempio il classico romano Visconti. Mentre il genovese D’Oria sottolinea come l’assenza di “gruppi particolari” (ad esempio nomadi) offra ai ragazzi un “background favorevole”. “Non posso che stigmatizzare – spiega la ministra – il linguaggio utilizzato da alcuni istituti”. Così “si fa un passo indietro rispetto a una delle caratteristiche fondanti della scuola italiana: la capacità di inclusione e integrazione, riconosciuta anche a livello internazionale. E si nega di fatto l’articolo 3 della Costituzione” (‘Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge’, ndr).

La scuola di cui abbiamo bisogno, spiega Fedeli, è “inclusiva, capace di rispettare e valorizzare le differenze. Una scuola dove nessuno si senta escluso e dove tutti i ragazzi possano (indipendentemente da provenienza e condizioni) essere formati a diventare cittadini consapevoli. Perciò, conclude la ministra,  “scriverò oggi stesso all’Invalsi (l’istituto nazionale di valutazione, ndr)  perché faccia immediatamente un attento monitoraggio dei Rav in riferimento a questo tipo di episodi. L’autonomia delle scuole è sacra. Ma ci sono principi irrinunciabili cui tutti dobbiamo ispirarci”. Invece, “leggendo

certe espressioni sembra che qualcuno li abbia dimenticati. Alcune frasi appaiono gravi, persino classiste. Non sono tollerabili e prenderemo provvedimenti”. Tanto più, avverte, che proprio il Rav “rientra fra gli strumenti di valutazione” delle scuole e dei presidi.

 

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Maturità 2018

Maturità 2018, annunciate le materie della seconda prova.

 

Maturità 2018, annunciate le materie della seconda prova Matematica allo Scientifico, Greco al Classico
La Ministra Fedeli firma il decreto Torna #NoPanic, l’iniziativa del Miur dedicata all’Esame

 

Maturità 2018 ,Greco per il Liceo classico, Matematica per lo Scientifico, Scienze umane  per il Liceo delle Scienze umane, Economia aziendale per l’indirizzo Amministrazione, Finanza e Marketing degli Istituti tecnici, Scienza e cultura dell’alimentazione per l’indirizzo Servizi enogastronomia e ospitalità alberghiera degli Istituti professionali.

Sono alcune delle materie scelte per la seconda prova scritta della Maturità 2018, annunciate oggi sui profili social del MIUR, dopo la firma dell’apposito decreto da parte della Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli. Il post di annuncio delle materie segna anche il ritorno di #NoPanic, l’iniziativa social del MIUR lanciata lo scorso anno per accompagnare con materiali informativi, consigli di esperti e video esplicativi i mesi che precedono la Maturità.

“Alle ragazze e ai ragazzi che affronteranno le prove a giugno faccio un grande in bocca al lupo. So che questo momento era molto atteso, come ogni anno. Si tratta del primo rito ufficiale che apre il percorso che nei prossimi mesi vi condurrà verso l’Esame. Anche quest’anno la macchina della Maturità si è messa in moto per garantire che tutto si svolga nel migliore dei modi: c’è un grande lavoro dietro le prove che svolgerete”. Prosegue la Ministra: “Le materie della seconda prova sono state individuate anche quest’anno scegliendo tra quelle che caratterizzano maggiormente il corso di studi. Ringrazio fin da ora le docenti e i docenti per l’impegno che metteranno nell’accompagnarvi verso l’Esame. Continuate, ogni giorno, a consolidare la vostra preparazione, ad arricchire le vostre conoscenze e competenze. Non solo in vista della Maturità, ma come bagaglio da portare con voi lungo tutto l’arco della vita”.

La #Maturità2018 avrà inizio il prossimo 20 giugno con la prova di Italiano. Il 21 giugno sarà la volta della seconda prova scritta, nella materia caratterizzante ciascun indirizzo. L’elenco completo delle materie scelte per la seconda prova è disponibile da oggi nella sezione dedicata all’Esame di Stato del II ciclo sul sito del MIUR:
http://www.istruzione.it/esame_di_stato/index.shtml.

Questo l’elenco sintetico delle principali materie.

Licei
Le materie scelte per la seconda prova sono: Greco per il Liceo classico; Matematica per lo Scientifico, anche per l’opzione Scienze applicate; Lingua e cultura straniera 1 per il Liceo linguistico; Scienze umane per il Liceo delle Scienze umane, anche per l’opzione Economico sociale; Discipline artistiche e progettuali caratterizzanti l’indirizzo di studi per il Liceo artistico; Teoria, analisi e composizione sarà la materia della seconda prova al Liceo musicale; Tecniche della danza al Liceo coreutico.

Istituti tecnici
Tra le materie scelte per i Tecnici: Economia aziendale per l’indirizzo Amministrazione, Finanza e Marketing; Lingua inglese nell’opzione Relazioni internazionali per il marketing e nell’indirizzo Turismo; Estimo per l’indirizzo Costruzioni, Ambiente e Territorio; Meccanica, macchine ed energia per l’indirizzo Meccanica, Meccatronica ed Energia; Sistemi e reti per l’indirizzo Informatica e telecomunicazioni; Progettazione multimediale per l’indirizzo Grafica e comunicazione; Economia, Estimo, Marketing e legislazione per l’indirizzo Agrario.

Istituti professionali
Tra le materie scelte per i Professionali: Scienza e cultura dell’alimentazione per l’indirizzo Servizi enogastronomia e ospitalità alberghiera, Diritto e tecniche amministrative della struttura ricettiva nell’articolazione Accoglienza turistica; Tecniche professionali dei servizi commerciali per l’indirizzo Servizi commerciali; Tecnica di produzione e di organizzazione nell’indirizzo Produzioni industriali e artigianali – articolazione Industria; Tecnologie e tecniche di installazione e manutenzione per l’indirizzo Manutenzione e Assistenza tecnica.

Le materie affidate ai commissari esterni sono state individuate in modo da assicurare un’equilibrata composizione della Commissione. Sulla pagina del sito del Miur dedicata all’Esame di Stato è disponibile anche l’elenco delle discipline affidate a commissari esterni.

Quest’anno sono oltre 300 gli istituti coinvolti nel Progetto ESABAC  per il rilascio del doppio diploma italiano e francese; tra questi, per la prima volta sono compresi percorsi dell’istruzione tecnica (ESABAC Techno).

 

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Migliaia di scuole a rischio chiusura

Migliaia di scuole a rischio chiusura, non sono a norma contro gli incendi.

L’allarme dell’associazione dirigenti scolastici: “La metà degli edifici, sono a rischio chiusura che ospita 8 milioni di alunni, non ha il certificato di prevenzione”. Dal primo gennaio l’obbligo di adeguarsi alla legge

di SALVO INTRAVAIA

 

Migliaia di edifici scolastici sono a rischio chiusura per carenze nei requisiti antincendio. A lanciare l’allarme è l’Andis (l’Associazione nazionale dirigenti scolastici), che qualche giorno fa ha inviato una preoccupata lettera alla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli. Secondo il presidente dell’Andis, Paolino Marotta, oltre metà dei plessi in cui svolgono le lezioni quasi 8 milioni di alunni italiani è sprovvisto di Certificazione prevenzione incendi e, per questa ragione, potrebbe essere chiusa “al pur minimo sopralluogo degli enti di vigilanza”.

La questione riguarda i 42mila edifici che ospitano le scuole in tutto il territorio nazionale. E diventa urgente perché nella legge di Bilancio, approvata a dicembre, non è stata prevista “la proroga dei termini per la messa a norma antincendio degli edifici scolastici”, esponendo i dirigenti scolastici e gli enti locali proprietari degli immobili (i Comuni, per le scuole dell’infanzia, primarie e medie, e le province per gli istituti superiori) alle sanzioni previste dalla legge.

Secondo Marotta, che cita l’ultimo dato fornito da Legambiente, i plessi sforniti di tale visto ammonterebbero al 52,6 per cento del totale. Un dato coerente con quello fornito dalla Struttura di missione sull’edilizia scolastica presso la presidenza del Consiglio dei ministri, che nell’aprile del 2016 parlava di un 54 per cento di edifici senza Cpi, cioè il Certificato prevenzione incendi.

L’auspicio di Marotta e dei suoi colleghi è che la ministra Fedeli intervenga “presso il Dipartimento dei Vigili del fuoco perché venga emanato un decreto ad hoc, che consenta agli enti proprietari di procedere al progressivo adeguamento alla norma degli edifici scolastici, magari con programmazioni triennali in analogia a quanto già avviene per le strutture sanitarie”.

Dopo l’enorme somma che gli ultimi due governi Renzi e Gentiloni hanno destinato al miglioramento delle condizioni di sicurezza delle scuole italiane (oltre 10 miliardi di euro stanziati di cui 5,2 già assegnati agli enti locali) è incomprensibile che ci siano ancora così tanti plessi senza i requisiti antincendio, una situazione che potrebbe determinarne rischio chiusura.

La legge di riferimento, “Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica”, risale al 1992. Il decreto del ministero degli Interni in questione dava cinque anni di tempo ai proprietari degli immobili scolastici per adeguarsi alle prescrizioni necessarie o per rendere sicure le eventuali procedure di evacuazione in caso di incendio. In seguito la scadenza, per le difficoltà degli enti locali, dovute anche alla carenza di fondi, è stata spostata in avanti di oltre vent’anni.

La preoccupazione di Marotta e dei dirigenti scolastici

è che presto la Cassazione possa pronunciarsi come ha fatto lo scorso primo Gennaio, quando ha sancito il principio che le scuole non in regola con le norme antisismiche (anche con una minima inadeguatezza al Rischio sismico) vanno chiuse immediatamente. E il sindaco non può opporsi.

 

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Gli studenti danno i voti

 

Gli studenti danno i voti: troppo impegno e poco lavoro, università italiane bocciate

Dalla Cina alla Spagna, dalI’India alla Gran Bretagna, i risultati dell’indagine Sodexo su soddisfazione e aspettative. Nel nostro Paese quasi la metà degli iscritti si dice ‘non contenta’ del proprio percorso accademico e un allievo su tre ha pensato di lasciare

di CRISTINA NADOTTI

 

ROMA – Carichi di lavoro eccessivi e difficoltà a conciliare socializzazione e studio, i ragazzi italiani percepiscono la loro vita da universitari come insoddisfacente, soprattutto poiché valutano come inutile il loro impegno, rispetto alle prospettive di lavoro dopo la laurea.

Sodexo, società che si occupa di migliorare i servizi all’interno dei campus universitari, ha realizzato un sondaggio su oltre 4mila universitari in sei Paesi: India, Cina, Regno Unito, Stati Uniti, Spagna e, appunto, Italia. Quasi 4 universitari italiani su 10, cioè il 38 per cento, rivelano di non essere soddisfatti della propria vita e in pratica la metà, il 46 per cento, si dice non contento del proprio percorso accademico. Le percentuali sono molto diverse negli altri Paesi oggetto di studio, poiché si dicono soddisfatti degli studi proprio e della vita da studenti l’82 per cento degli indiani, il 76 per cento dei cinesi, il 75 per cento degli inglesi, il 73 per cento degli americani e il 70 per cento degli spagnoli.

Non basta, per commentare i dati, considerare che nei Paesi in cui l’accesso a un’istruzione accademica è un privilegio, come l’India appunto, possa bastare essere universitari per sentirsi quasi arrivati. A preoccupare è infatti lo scarto consistente tra il dato italiano e quello di altri Paesi europei, come Regno Unito e Spagna.

Il 36 per cento dei nostri studenti ha perciò pensato almeno una volta di abbandonare l’università, contro il 5 per cento dei cinesi e il 20 per cento degli indiani, preceduti solo dai pari età inglesi (37 per cento, ma per loro l’abbandono coincide con il lavoro). Gli italiani che hanno partecipato al sondaggio lamentano l’eccessivo carico di lavoro (il 51 per cento), la mancanza di equilibrio tra studio, socializzazione e lavoro (44 per cento) e la possibilità di trovare un’occupazione dopo la laurea (43 per cento).

Il tempo dell’insegnamento è soddisfacente soltanto per il 56 per cento degli universitari italiani e oltre 4 su 10 (il 43 per cento) devono fare i conti con una situazione economica preoccupante, con problemi di gestione delle spese quotidiane. Infine, soltanto un terzo degli studenti (37 per cento) pensa ci sia un buon rapporto qualità-prezzo dai servizi offerti dal proprio ateneo, valore inferiore a quelli di tutte le altre nazioni, fatta eccezione per il Regno Unito. Indicativa anche la sfiducia degli studenti italiani sulla capacità degli atenei di fare fronte alle loro esigenze, o di essere presenti in caso di difficoltà: il 53 per cento ritiene che l’università possa aiutalo a trovare un alloggio, il 47 per cento sente tutelato il suo diritto alla salute, il 46 per cento ritiene che l’università favorisca la socializzazione e il 46 per cento si sente sostenuto economicamente.

“Per attrarre le menti più brillanti e continuare a stimolarle, le università non devono solo fornire istruzione, ma devono anche rivolgere la loro attenzione alla qualità della vita degli studenti e di tutti coloro che lavorano all’interno dei campus – spiega Franco Bruschi, Head of Schools & Universities Segment Med Region di Sodexo – Ad esempio, la sicurezza e il comfort dell’ambiente in cui gli studenti vivono e studiano sono fattori che influenzano qualità della vita e capacità di apprendimento”.

“Sorprende un poco la scarsa soddisfazione per il rapporto costi-benefici dell’istruzione universitaria. Le università pubbliche italiane, a dispetto di certi luoghi comuni, presentano costi di accesso fortemente contenuti a fronte di una qualità media elevata che ci viene internazionalmente riconosciuta” commenta Paolo Cherubini, Prorettore Vicario dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.

Per Loredana Garlati, Prorettore all’Orientamento e Job Placement dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, invece: “Vista dal lato positivo, lo studente non vede più l’università come un “esamificio”, ma come una comunità da cui attendere non solo qualità didattica ma anche supporto nella soluzione dei propri problemi attraverso servizi orientamento, counselling, alloggi, luoghi di aggregazione, sport. Su questo le università italiane hanno ancora molto da fare”.

Michele Rostan, Delegato al Benessere Studentesco all’Università degli

Studi di Pavia, spiega che: “Occorre un maggiore impegno nel contrastare la dispersione formativa, nell’accompagnare gli studenti nel loro percorso, una maggiore attenzione alla didattica e l’offerta di maggiori spazi dedicati allo studio, soprattutto insieme ad altri studenti”.

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Scuola media, il riassunto nella prova d’italiano di terza

Scuola media, il riassunto nella prova d’italiano di terza

Il Miur ha presentato le linee guida per il nuovo esame della scuola media. Oltre al vecchio tema la possibilità di riscrivere un testo. Il linguista Serianni: “Così si migliorano le competenze”

Scuola media la rivincita del riassunto, da noioso compito a casa a prova di esame. Dal prossimo giugno gli studenti che sosterranno l’esame di terza media durante la prova di italiano potranno cimentarsi anche con la “riscrittura di un testo narrativo o descrittivo”.

Il Miur ha presentato le linee guida destinate agli insegnanti della scuola media  che devono predisporre le prove secondo le nuove indicazioni e il documento di orientamento messo a punto da una commissione di esperti guidata dal linguista Luca Serianni.

La nuova prova di italiano nella scuola media sarà articolata in quattro diverse tipologie e gli studenti potranno scegliere il testo narrativo o descrittivo, simile al tema tradizionale, l’argomentazione scritta per sostenere una tesi con ragionamenti stringenti, la comprensione di un testo, di carattere letterario o scientifico, anche attraverso una sua riscrittura, in pratica un riassunto, oppure una prova che sia un mix delle precedenti.

La nuova prova di italiano nella scuola media si avvicina in questo modo a quella dell’esame di maturità, che da tempo aveva stabilito criteri diversi rispetto al tema. Le scuole già dallo scorso ottobre hanno ricevuto una circolare in proposito e il ministero ha organizzato conferenze di servizio sul territorio con presidi e docenti, per cui gli studenti dovrebbero aver già svolto esercitazioni sulla nuova prova.

Non è soltanto la prova di italiano a introdurre delle novità nella scuola media. Il nuovo esame che si sosterrà a giugno prevede tre scritti (una prova di italiano, una di matematica, una sulle lingue straniere) e un colloquio per accertare le competenze trasversali, comprese quelle di cittadinanza.

Come già accadeva, saranno le singole commissioni a predisporre i testi per le prove scritte nella scuola media; per quanto riguarda quella di italiano il giorno dell’esame ogni commissione sorteggerà una terna di tracce (ne verranno preparate tre) da sottoporre ai ragazzi che dovranno sceglierne una.

“Il gruppo di lavoro è stato costituito a luglio con il compito di definire una serie di interventi operativi per migliorare le competenze nella lingua italiana delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria di primo e secondo grado. Quello che presentiamo  – ha sottolineato la Ministra Valeria Fedeli – è un primo risultato. Il documento finale potrà rappresentare una utile guida per i docenti anche nell’attività didattica quotidiana, oltre che in vista dell’Esame finale del primo ciclo”.

“Il proposito è stato quello di offrire ai docenti suggerimenti per predisporre al meglio le prove d’esame nella scuola media e valutare le competenze di lingua italiana per quanto riguarda sia la comprensione sia la produzione del testo” ha dichiarato il professor Serianni secondo il quale sarebbe bene abituare i ragazzi a misurarsi con queste nuove tipologie di prove già dalle ultime classi della Primaria.

Il lavoro del gruppo di esperti non si esaurisce

con il documento presentato oggi. Nei prossimi mesi l’attenzione sarà rivolta all’esame di Maturità. Il Ministero dovrà definire, infatti, per la prova d’italiano e per le seconde prove, appositi quadri di riferimento utili per la loro redazione e valutazione.

 

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Scuola, troppi compiti nelle vacanze

Scuola, troppi compiti nelle vacanze non aiutano il rendimento scolastico

Una ricerca internazionale fatta sugli studenti di terza media e quarta elementare dimostra che i risultati in Matematica e Scienze peggiornano quando le ore dedicate allo studio a casa durano più di tre ore alla settimana

di SALVO INTRAVAIA

Troppi compiti a casa fanno male al rendimento scolastico. Le vacanze di Natale sono agli sgoccioli e per migliaia di alunni, grandi e piccoli, si ripropone il solito problema: immergersi a capofitto nello studio per svolgere tutti i compiti assegnati dagli insegnanti oppure fare solo il necessario e sperare che nessuno se ne accorga? La questione dei compiti da svolgere al di fuori della giornata scolastica, da un po’ di tempo a questa parte, è diventata centrale per le famiglie italiane. I genitori protestano per il carico eccessivo cui sono sottoposti i loro figli durante i pomeriggi. Mentre le maestre, per assegnarli in grande quantità, li considerano fondamentali per l’apprendimento.

Ma qual è la dose giusta di compiti a casa? E sono sempre utili? Una indicazione arriva dai test internazionali svolti nel 2015 dagli alunni di terza media e di quarta elementare di mezzo mondo: il Timss, sugli apprendimenti in Matematica e Scienze. E’ il risultato è sorprendente.

In Matematica, i ragazzini italiani di terza media collezionano 494 punti in Matematica e 499 in Scienze. Ma se si va a guardare il risultato in base alla quantità di compiti assegnati a casa (in termini di minuti di studio a settimana) si scopre che coloro che studiano nel pomeriggio da 45 minuti a 3 ore a settimana di geometria e polinomi – pari al massimo a 25 minuti al giorno, domeniche comprese – lo score sale a 502 punti. Mentre coloro che studiano ancora più delle tre ore settimanali il punteggio precipita a 488 punti. Stesso discorso, anche se con differenze inferiori per le Scienze. “L’effetto del ‘troppo studio’, che ovviamente va spiegato meglio con ulteriori approfondimenti mirati, è coerente con la raccomandazione che, come Invalsi, non ci stanchiamo mai di fare di ‘non esercitarsi eccessivamente sulle prove Invalsi’, perché, trattandosi di prove non nozionistiche, non ha senso incoraggiarne l’allenamento meccanico”, spiega Paolo Mazzoli, direttore dell’Invalsi.

“Credo di poter dire – aggiunge Mazzoli – che lo stesso discorso vale anche nella didattica quotidiana della matematica, e cioè che, ad esempio, fare 10-20 esercizi simili sulle equazioni, o sulle equivalenze, rischia di risultare controproducente rispetto ad un auspicabile apprendimento duraturo e ben padroneggiato”. Anche “per le scienze, sempre riferendoci alla terza media, abbiamo ugualmente un aumento del punteggio degli alunni che studiano meno di tre ore a settimana (ma più di 45 minuti) ma la differenza non è statisticamente significativa”, conclude. E passando ai piccoli di quarta elementare, spesso inondati di compiti che risultano difficili anche per i loro genitori, le cose non cambiano.

In questo caso l’Italia fa bella figura nel confronto internazionale: 507 punti in Matematica e 516 in Scienze piazzano i nostri piccoli nella parte alta del ranking. E spulciando tra una miriade di numeri salta fuori che i risultati migliori in Matematica arrivano dai bambini che studiano a casa da 31 a 120 minuti a settimana. Forse soltanto per ripassare ciò che si è appreso in aula. Per loro il punteggio sale a 513 punti. Mentre per i compagni ai quali le insegnanti assegnano un carico di lavoro pomeridiano superiore alle due ore settimanali la performance si appanna: 484 punti, ben 29 lunghezze in meno.

E in Scienze i dati sono sorprendenti: i piccoli ai quali le maestre non assegnano nessun compito a casa salgono addirittura a 544 punti. Un risultato che avvicinerebbe i bambini di quarta elementare nostrani alle posizioni di vertice della classifica mondiale, guidata da Singapore con 590 punti.

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La Costituzione italiana compie 70 anni.

 

La Costituzione italiana compie 70 anni ed entra in classe. Sarà protagonista anche alla maturità 2018?

 

La Costituzione italiana fresca del suo 70° anno, è entrata infatti in vigore il 1° gennaio 1948, la Costituzione italiana non poteva, vista questa importante occasione, che essere celebrata in grande anche dal mondo della scuola. Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha infatti previsto una serie di manifestazioni, già a partire dal prossimo 8 gennaio. Non solo, in tutte le scuole verrà prestissimo distribuito il testo della Costituzione italiana, con lo scopo di avvicinare gli studenti ai suoi principi fondamentali. E chissà, magari potrebbe essere una delle protagoniste anche alla Maturità 2018; se non nelle prove scritte (ma è comunque tra i temi più prevedibili) almeno al colloquio orale.

La Costituzione italiana nuova compagna di classe

“Invieremo la Costituzione italiana nelle scuole non solo affinché sia riletta, ma per fare in modo che diventi parte di un percorso di studio e confronto che consenta alle nostre giovani e ai nostri giovani di capire come è nata, attraverso quale dibattito”. Così la Ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli ha sottolineato l’importanza dell’iniziativa che prevede la distribuzione del testo della Costituzione italiana in tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado. Gli studenti, quindi, avranno una nuova compagna di classe che li aiuterà a confrontarsi e a comprendere meglio le basi su cui poggia la nostra convivenza civile. “Vogliamo che le nuove generazioni – ha proseguito la Ministra – riscoprano e approfondiscano i valori fondanti di democrazia, libertà, solidarietà e pluralismo culturale che la Costituzione esprime”.

Le iniziative per festeggiare questo traguardo

Oltre alla distribuzione nelle scuole, il Miur ha però organizzato altre iniziative per celebrare questo importante traguardo raggiunto dalla Costituzione. Lunedì 8 gennaio, presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale “Emilio Sereni” di Roma, il Presidente della Corte costituzionale – Paolo Grossi – e la stessa Ministra dell’Istruzione, firmeranno una Carta d’intenti che darà il via al progetto “Viaggio in Italia: la Corte costituzionale nelle scuole”, un ciclo di incontri tra i giudici della Corte costituzionale e gli studenti, durante i quali potranno essere approfonditi temi quali la genesi, la composizione e il funzionamento della Corte costituzionale. Verrà poi presentato il concorso nazionale “La Costituzione italiana dei ragazzi” che si propone di offrire agli studenti un’occasione di riflessione sulla nascita della Repubblica e sull’importanza del ruolo della Carta costituzionale nel percorso di crescita di un’Italia democratica. Il 9 gennaio, invece, i 70 anni della Costituzione saranno festeggiati al Senato della Repubblica, con trecento studentesse e student,i alla presenza del Presidente Pietro Grasso, della ministra Fedeli e del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.

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