Copiare a scuola?

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Copiare a scuola?

Copiare a scuola: per metà degli studenti un peccato veniale.

Anche un terzo degli italiani non è un fatto grave, compresi mamme e papà. Lo afferma l’Istat in una ricerca sul senso civico dei nostri connazionali

di SALVO INTRAVAIA

 

Copiare a scuola durante i compiti in classe? Un peccato veniale per quasi metà degli studenti, ma anche per un terzo di tutti i cittadini italiani: mamme e papà compresi. E’ quello che emerge dall’indagine sul cosiddetto “Senso civico” condotta dall’Istat e pubblicata due giorni fa. Italiani possibilisti e tolleranti anche su evasione fiscale, raccomandazioni, corruzione e uso del cellulare durante la guida. “Per senso civico – spiegano gli esperti dell’istituto di statistica – ci si riferisce a quell’insieme di comportamenti e atteggiamenti che attengono al rispetto degli altri e delle regole di vita in una comunità”. E dall’indagine gli italiani non ne escono bene. Perché, una percentuale piuttosto alta, è disposta a perdonare anche veri e propri reati.

Per quasi un terzo degli italiani, adulti compresi, copiare a scuola è un atteggiamento “poco o per nulla grave”. “Copiare a scuola – si legge nel report – è ritenuto soprattutto un danno a scapito di chi copia e in generale un comportamento che danneggia tutti, perché contro le regole”. Soltanto l’8% ritiene che si tratta di un comportamento che lede il ruolo istituzionale dell’insegnante. E tra gli studenti iscritti ad un corso di studio la percentuale di indulgenti aumenta di parecchio: sale al 43%. Mentre donne e anziani si mostrano più intransigenti.

 

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Le scuole italiane si spopolano.

Le scuole italiane si spopolano:

studenti in calo per la prima volta anche al Nord.

Secondo i calcoli del Miur il prossimo anno saranno 70mila in meno gli alunni che frequenteranno le scuole italiane. Colpa del calo demografico. L’unica regione in controtendenza è l’Emilia Romagna

di SALVO INTRAVAIA

 

Le aule italiane si spopolano. A settembre, secondo i conteggi del ministero dell’Istruzione, saranno 70mila in meno gli alunni che frequenteranno le scuole italiane. Il calo demografico degli scorsi anni con sempre meno nascite sta facendo sentire i propri effetti sulle iscrizioni. E per la prima volta è segno rosso anche nelle regioni settentrionali, che per lungo tempo hanno tenuto i numeri per l’incremento degli alunni stranieri iscritti. Ma adesso anche bambini e studenti non italiani non crescono più, almeno non ai ritmi degli anni precedenti, e il totale degli alunni sta inesorabilmente diminuendo.

Sono le regioni meridionali a pagare il prezzo più alto di un calo che sembra inarrestabile. Dei 69.256 alunni in meno conteggiati dal Miur, e comunicati ai sindacati qualche giorno fa, oltre 51mila spariranno nelle regioni meridionali. Saranno 15.500 in meno in Campania e 11mila in Puglia. Come se chiudesse i battenti da un anno all’altro una cittadina come Chieti o Pordenone, al Nord. Perché anche, dal prossimo anno scolastico anche Veneto, Lombardia, Piemonte e tutte le regioni del nord dovranno fare i conti alcune migliaia di alunni in meno: oltre 5mila in Veneto e quasi 3.500 in Piemonte. Tutte, tranne l’Emilia-Romagna che dovrebbe incrementare le presenze di 1.500 unità

Per il momento, il decremento in aula non si ripercuoterà sugli organici degli insegnanti. Il ministero dell’Istruzione ha stabilito di mantenere gli stessi posti dell’anno in corso: 617mila escluso il sostegno. Arriveranno anche 2mila posti in più per potenziare il Tempo pieno alle elementari, mille e 500 in più di insegnante tecnico-pratico e 400 posti in più nei licei musicali. Ma saranno 361 in meno le cattedre degli istituti professionali. Con lo stesso numero di cattedre e meno alunni, sarà possibile ridurre il numero delle cosiddette classi-pollaio e, soprattutto al sud, mettere in campo strategie di lotta alla dispersione scolastica, che ci vede ai primi posti in Europa. Ma, quasi certamente, nei prossimi anni il calo delle presenze tra i banchi scolastici del Belpaese si ripercuoterà sulla dotazione delle cattedre. Perché, secondo le proiezioni dell’Istat sulla popolazione residente, tra dieci anni, gli italiani in età scolare saranno 820mila unità in meno.

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Scuola, aumenta la dispersione scolastica

Scuola, aumenta la dispersione scolastica: cresce tra le ragazze

La Fondazione Agnelli legge i dati Eurostat e lancia l’allarme: il peggioramento è sul versamente femminile

di ILARIA VENTURI

 

Nuovo campanello d’allarme sulla dispersione scolastica in Italia. Negli ultimi due anni è tornata a crescere: dal 13,8% del 2016 al 14,5% del 2018. E il peggioramento è dovuto alla crescita della dispersione fra le ragazze (dall’11,2% al 12,1%), mentre quella maschile rimane invariata al 16,6%. E’ la Fondazione Agnelli a leggere i dati Eurostat. L’ufficio statistico dell’Unione europea ha recentemente aggiornato un indicatore cruciale sulla salute dei sistemi di istruzione e formazione: quello relativo alla quota di 18-24enni che hanno terminato gli studi privi di un diploma o di una qualifica. Si tratta della misura ufficialmente adottata in sede europea per quantificare il fenomeno dell’abbandono scolastico e formativo, e seguirne l’evoluzione nel tempo.

E le notizie per l’Italia non sono buone: il dato del 2018 (ancora provvisorio) indica una netta risalita della quota nazionale di early leavers, dal 14 al 14,5%. “Era dalla fine degli anni ’90 che la dispersione calava, con la caratteristica che diminuiva in parallelo la dispersione maschile, sempre più alta, e quella femminile, più bassa” osserva Stefano Molina, ricercatore della Fondazione Agnelli. Quella che nel 2017 poteva essere interpretata come una semplice pausa di riflessione (dal 13,8% al 14%) deve quindi leggersi come una preoccupante inversione di tendenza, dopo decenni di costante successo delle politiche di contrasto alla dispersione.Scuola, aumenta la dispersione scolastica: cresce tra le ragazze

Le politiche realizzate in Italia avevano come obiettivo di rispettare la scadenza del 2020 dettata dall’Europa di scendere al 10% nella dispersione scolastica. “Ci ha sorpreso che il peggioramento italiano sia tutto ascrivibile alla componente femminile – continua Molina – Forse avevamo accantonato la preoccupazione, invece non bisogna abbassare la guardia. Anzi nella dispersione sono coinvolte, purtroppo, sempre di più le ragazze. E questo è un fenomeno che va capito”.

Il quadro nazionale è molto disomogeneo, con territori che dovrebbero aver già conseguito – in anticipo rispetto alla scadenza del 2020 – l’obiettivo europeo del 10% (Trento, Emilia Romagna, Umbria e Abruzzo), e le Isole dove invece la dispersione rimane superiore al 20%

 

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Maturità, l’errore del ministero nella prova di latino

Maturità, l’errore del ministero nella prova di latino

 

La gaffe nell’introduzione alla versione proposta per la simulazione del secondo scritto: si parla di “Livia Drusilla, nuora dell’imperatore”, ma in realtà Drusilla era sua madre. Gamberale: “Errore da matita blu”.

 

affe del ministero dell’Istruzione nella traccia della versione di latino per la prova simulata dell’esame di maturità, pubblicata oggi sul portale del Miur. Il brano da tradurre, un passaggio degli Annales di Tacito, trattava della caduta e morte di Seiano, il potente prefetto del pretorio dell’imperatore Tiberio. Nell’introduzione al brano, scritta dagli esperti del ministero, a un certo punto si legge letteralmente che Seiano, “ottenuti vari incarichi militari e civili grazie al favore di cui godeva presso Tiberio (il Caesar del testo), acquisì grandissima influenza nella vita del tempo, arrivando ad aspirare al matrimonio (forse davvero celebrato), con Livia Drusilla, nuora dell’imperatore, vedova del primo marito”. L’errore consiste nel fatto che Livia Drusilla, più nota semplicemente come Livia, era la moglie di Augusto e madre di Tiberio, non sua nuora. Ben più anziana di Seiano, dunque, che invece fu amante di Livilla, nipote di Livia Drusilla e così chiamata proprio in onore della prima imperatrice di Roma.

Un errore da matita blu, secondo Leopoldo Gamberale, professore emerito di Lingua e letteratura latina alla Sapienza di Roma: “Proprio perché è una simulazione dell’esame dovrebbero stare attenti – sottolinea  – hanno avuto tutto il tempo per lavorarci sopra, è un errore antipatico. La cosa è poco influente ai fini dell’interpretazione del testo, ma se l’avesse fatto un mio studente sarei saltato sulla sedia, in questo caso il Miur è da bocciare direi”. Più “clemente” Giorgio Piras, docente di Lingua e letteratura latina e direttore del dipartimento Scienze dell’antichità alla Sapienza: “L’errore c’è ma non è grave, perché nell’uso latino le donne di una stessa famiglia tendevano ad avere lo stesso nome. Si chiamavano tutte Livia, e già le fonti antiche non distinguevano i nomi. È un errore di confusione, ma non credo abbia ingenerato confusione negli studenti”.

 

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