Recupero anni scolastici

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Recupero anni scolastici

Recupero anni scolastici

Nuovo logo centro studi Parini a Parma1                                     Recupero anni scolastici: oggi non è un problema

 

Se ti manca il diploma o vuoi recuperare gli anni scolastici persi, rivolgiti al Centro Studi G.Parini, una scuola nata per accompagnarti nell’acquisizione di conoscenze e abilità, utili all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro.

Un metodo di insegnamento dinamico, docenti qualificati, competenze scientifiche, una didattica consolidata e il supporto per l’orientamento hanno permesso a centinaia di studenti di completare con successo il proprio percorso scolastico.

La scuola è costruita intorno a te, adattata alle tue esigenze e quindi perfetta per i giovani e per coloro che lavorano, offrendo la massima flessibilità.
Valorizzare il rendimento di ogni singolo studente è per Noi fondamentale ed è per questo che i nostri docenti, selezionati e competenti, sono attenti alle esigenze didattiche di ognuno e permettono il raggiungimento dei migliori risultati grazie a una programmazione personalizzata per obiettivi.

 

                                     Per iscrizione chiamare il 324.69.69.699 – 0521.57.39.63

                                                         info@centrostudiparini.it 

 

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Sos genitori, l’allarme dei pedagogisti

Sos genitori, l’allarme dei pedagogisti

“Sono fragili, aiutiamoli”

 

A Piacenza il convegno del Centro psico-pedagogico di Daniele Novara: “Occorre sospendere l’attenzione eccessiva sui bambini e cominciare ad occuparsi di mamme e papà”

di ILARIA VENTURI

 

I bambini? Crescono quelli con problemi neuropsichiatrici, hanno sempre più difficoltà ad essere autonomi, nel sonno per esempio. Il digitale invade la loro vita sin da piccoli, aumentando le dipendenze da videogiochi e le tendenze autolesionistiche da adolescenti. L’allarme è suonato dai pedagogisti oggi riuniti al convegno “Dalla parte dei genitori” promosso dal Centro psico-pedagogico di Daniele Novara. Che avverte: basta genitori fai-da-te, amici e confidenti, basta papà-peluche. A più voci, con sfumature differenti, il coro è unanime: l’urgenza ora è educare i genitori per far crescere i bambini.

Quella del convegno è un’occasione per suonare la sveglia senza mettere sul banco degli imputati mamme e papà. “Lo scopo non è colpevolizzare i genitori, ma liberare le loro risorse”, spiega Novara che ha stilato una sorta di decalogo per suggerire come fare, tipo: liberarsi dall’ansia di prestazione, essere concreti, non chiedere il suo parere (ha tre anni, non decide lui). “Occorre sospendere l’attenzione eccessiva sui bambini e cominciare ad occuparsi di mamme e papà”, insiste il pedagogista. “Trent’anni di psicologismo hanno azzerato la capacità di educare di una generazione”, il suo affondo.

Novara fa riferimento ai genitori 30-40enni: “Hanno vissuto il passaggio antropologico da una società dell’appartenzenza alla società del narcisismo”. Le conseguenze? “Pretendono di mettersi alla pari coi figli, si sostituiscono a loro. Spiegano continuamente ai loro figli come si fa a fare le cose, come lavarsi i denti, ma senza essere concreti, prima di mettere una regola sentono di doverla giustificare. Ricordo un papà con un bambino di sei anni e mezzo che mi ha detto: ho l’impressione che mi consideri un suo compagno di giochi. O mamme che vogliono parlare coi figli adolescenti quando loro non vogliono perché sono in un momento di congedo dal nodo materno”.

Novara, che al convegno ha raccolto esperti –  psicologi, pedagogisti e scrittori – come  Silvia Vegetti Finzi, Alberto Pellai, Michele Zappella, Susanna Mantovani, Bruno Tognolini, mette in guardia la politica (“rimetta la centro il problema educativo”) senza puntare il dito contro i genitori: “Lo spot preferito è diventato quello di colpevolizzarli: non li educano, non li controllano. Io dico: aiutiamoli”.

In che modo? “I genitori oggi sono più incerti, vorrebbero il meglio per i loro figli senza sapere bene che cosa è, il mondo li spaventa, e a ragione, e dunque sono disorientati. Occorre educarli non ad essere perfetti, ma sufficientemente buoni” osserva Susanna Mantovani, professoressa onoraria di pedagogia alla Bicocca di Milano. “Chiedono molto, ma spesso chiedono male. Vanno ascoltati nelle loro fatiche come quella di rendere autonomi i figli. Altra cosa è insegnare loro che non esistono soluzioni immediate, rapide: ci vuole del tempo. Ma il messaggio deve essere che ce la possono fare”.

Mariagrazia Contini, pedagogista, già docente dell’Alma Mater, frena: “Però attenzione: i genitori sono sempre più fragili ed è vero. Ma io li trovo anche molto audaci: cercano sul campo di conquistare una loro autorevolezza e vogliono fare felici i loro figli, un desiderio importante e molto nuovo. Un tempo erano i bambini che cercavano di compiacere i genitori, ora è il contrario. E’ chiaro che c’è qualcosa di eccessivo in questo, ma dietro c’è la volontà dare felicità ai figli: una scelta precisa che questi genitori hanno fatto, solo che l’hanno fatta da autodidatti. E sono molto soli nel portarla avanti”. Dunque il suggerimento, fuor di retorica sulla famiglia, è di rinforzare la scuola nel ruolo di supporto educativo, potenziare il sostegno e il welfare per i genitori. “Bisognerebbe che questo diventasse un problema sentito a livello sociale e politico – conclude Contini – i genitori potrebbero fare di meglio, certo. Ma potrebbero anche ricevere qualche aiuto: non hanno bisogno di psicologi, ma di conoscenza di quello che devono fare”.

 

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Catastrofe culturale: studenti abbandonano la scuola

Catastrofe culturale: studenti abbandonano la scuola

 

Anticipiamo in esclusiva i dati elaborati dal dossier Tuttoscuola: ogni anno più di 150mila ragazzi lasciano le aule. I numeri impressionanti di un fallimento sociale ma anche economico. Tutti i dati dell’emergenza su L’Espresso in edicola da domenica 9 settembre

di Francesca Sironi

 

A giorni le classi saranno formate, gli zaini pronti, 590 mila ragazzi inizieranno le scuola superiori. Evviva. Ma uno di loro su quattro non arriverà al diploma. Dirà addio agli studi prima di averli portati a termine. Un dossier della rivista specializzata Tuttoscuola che L’Espresso può anticipare in esclusiva mostra come l’Italia abbia perso lungo la strada tre milioni e mezzo di studenti, dal 1995 a oggi. È una voragine: il 30,6 per cento degli iscritti è scomparso prima di raggiungere il traguardo. Certo, in questi vent’anni sono stati alzati argini, spesso grazie a iniziative esterne, di volontari e associazioni. E il tasso di abbandono scolastico è diminuito: nel 2018 hanno detto addio in anticipo ai professori 151mila ragazzi, il 24,7 per cento del totale, contro il 36,7 del duemila. È un miglioramento, ma non una vittoria.

Perché l’incuria intorno e lo sconforto interno che portano gli adolescenti a far cadere i libri prima di averli compresi, sono gli stessi spettri che rischiano poi di trattenerli a lungo in quella macchia che è la conta dei Neet, dei giovani che non studiano né lavorano: il vuoto lattiginoso dentro cui è chiuso un ventenne su tre al Sud. «Si può evitare questa immane, ennesima catastrofe culturale, economica e sociale, che avviene proprio davanti ai nostri occhi disattenti e rassegnati?», si chiede Giovanni Vinciguerra, direttore di Tuttoscuola, introducendo il dossier, “La scuola colabrodo”: «Per farlo di sicuro bisogna partire dal sistema scolastico».

A rafforzare l’urgenza del tema possono essere i conti. Tuttoscuola li ha fatti, in denaro: ha calcolato quanto ci costa questo spreco generazionale. Partendo dalla stima Ocse per cui lo Stato investe poco meno di settemila euro l’anno a studente, per l’istruzione secondaria, il costo degli abbandoni si misura allora in cinque miliardi e 520 milioni solo considerando i cicli scolastici 2009-2014 e 2014-2018. Cinque miliardi bruciati in nove appelli d’inizio settembre. Ancora non importa a nessuno, questo spreco? Guardando ai vent’anni presi in considerazione dal dossier, la cifra diventa addirittura vertiginosa: 55,4 miliardi di euro.

È la misura di un fallimento sociale, oltre che economico, enorme. E che ne racchiude altri, perché come ricorda il rapporto, più istruzione significa anche più lavoro, più salute, più democrazia. Mentre lasciar seccare l’insegnamento, e la sua copertura, significa togliere strumenti e possibilità agli attuali e prossimi cittadini, quindi all’Italia come paese. Sull’Espresso in edicola il 9 settembre tutti i dati del rapporto insieme alle riflessioni e alle proposte di chi si occupa di dispersione scolastica. Oltre a un focus sull’altro aspetto della fuga: quella dei neo-laureati che cercano un futuro solo all’estero.

 

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