Recupero anni scolastici

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Recupero anni scolastici

Recupero anni scolastici

Nuovo logo centro studi Parini a Parma1                                     Recupero anni scolastici: oggi non è un problema

 

Se ti manca il diploma o vuoi recuperare gli anni scolastici persi, rivolgiti al Centro Studi G.Parini, una scuola nata per accompagnarti nell’acquisizione di conoscenze e abilità, utili all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro.

Un metodo di insegnamento dinamico, docenti qualificati, competenze scientifiche, una didattica consolidata e il supporto per l’orientamento hanno permesso a centinaia di studenti di completare con successo il proprio percorso scolastico.

La scuola è costruita intorno a te, adattata alle tue esigenze e quindi perfetta per i giovani e per coloro che lavorano, offrendo la massima flessibilità.
Valorizzare il rendimento di ogni singolo studente è per Noi fondamentale ed è per questo che i nostri docenti, selezionati e competenti, sono attenti alle esigenze didattiche di ognuno e permettono il raggiungimento dei migliori risultati grazie a una programmazione personalizzata per obiettivi.

 

                                     Per iscrizione chiamare il 324.69.69.699 – 0521.57.39.63

                                                         info@centrostudiparini.it 

 

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Scuola, apertura a singhiozzo.

Scuola, apertura a singhiozzo. “Un istituto su quattro avrà problemi”

 

Dodici regioni mantengono l’avvio dell’anno scolastico per domani, ma nel Lazio un terzo dei plessi resterà chiuso e in Sicilia via solo alle superiori. In Emilia Romagna autorizzate le mascherine di stoffa. La Cisl: il 25 per cento parte senza certezze. La ministra Azzolina: “Piccole criticità”

di CORRADO ZUNINO

 

ROMA – La ministra Lucia Azzolina le chiama, da settimane, “piccole criticità”. La Cisl calcola: “Una scuola su quattro non partirà  normalmente”. Molti istituti scolastici italiani, semplicemente, non aprono. Sette regioni su venti rinviano l’avvio dell’anno scolastico 2020-2021 e anche nei territori in un cui la partenza legale è prevista per domani, lunedì 14 settembre, le piccole criticità sono montagne da scalare.

Dice l’assessore alla Scuola del LazioClaudio Di Berardino, in un’intervista pubblicata oggi su Repubblica: “Nella nostra Regione un istituto su tre non ce la fa e deve rimandare l’apertura, sedicimila studenti sono ancora senza un’aula”. In Sicilia, altra regione con il calendario fissato su lunedì, in verità aprono soltanto le scuole superiori. Per primarie e medie mancano sedie, banchi, docenti.

Delle sette regioni che hanno posticipato, la Campania è quella in maggiore difficoltà. Il presidente Vincenzo De Luca fa sapere: “Non so se riusciremo a farcela neppure per il 24 settembre”.

Ogni territorio ha a che fare con problemi simili e distinti. La Spezia in Liguria– nella città militare i contagi sono ancora alti – e Viterbo nel Lazio si sono arrese: partenza posticipata. La Flc Cgil sostiene che, per ora, sono arrivati 200.000 monobanchi dei 2,4 milioni previsti, che, comunque, il contratto del bando Arcuri si è impegnato a consegnare entro fine ottobre. Mancano anche le mascherine promesse gratis per studenti, professori e bidelli. I presidi di tutta Italia, a partire dal Lazio, lo ribadiscono, Domenico Arcuri assicura che entro domani tutti avranno scorte sufficienti per affrontare la prima settimana. L’Ufficio scolastico per l’Emilia Romagna ha autorizzato preventivamente l’utilizzo in classe delle protezioni di stoffa. A Bari il sindaco Antonio Decaro rivela: “I soldi per l’affitto di locali extra scolastici sono arrivati solo due giorni fa e sono pochi, 70 milioni per trecento richieste”.

Il capitolo supplenti è delicato ed emergenziale. Non si sono ancora chiuse le nomine attraverso il contestato sistema Gps. A Torino e a Milano, per esempio, e in quest’ultima città metropolitana i sindacati hanno chiesto formalmente al prefetto di occuparsi della questione. Restano vuoti preoccupanti sul sostegno. La mancanza di 250.000 cattedre di ruolo in tutta Italia – sarebbe un primato dell’era moderna se i numeri fossero confermati – rende la partenza un vero e proprio problema didattico.

 

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Compiti per le vacanze

Compiti per le vacanze

 va meglio a scuola chi ne ha meno

 

Secondo una indagine sull’apprendimento, i risultati più brillanti si maturano sui banchi

di SALVO INTRAVAIA

 

Lezioni agli sgoccioli. E per milioni di alunni e famiglie italiane ritorna l’incubo dei compiti per le vacanze. E’ proprio necessario inondare di letture e esercizi a casa gli alunni per fare crescere le loro conoscenze e le loro competenze? Lo scorso anno il ministro Bussetti fece una circolare in merito invitando gli insegnanti a non esagerare. Da una recente indagine internazionale sugli apprendimenti in Lettura dei bambini di quarta elementare (il Pirls 2016), la cui banca dati è stata aggiornata qualche settimana fa, sembrerebbe proprio di no: i bambini che ricevono per casa una dose minima di compiti, e neppure ogni giorno, strappano punteggi superiori dei compagni che ne ricevono dosi massicce. E nella disfida tra favorevoli e contrari all’allenamento domestico, lontano dalle mura scolastiche e dall’occhio vigile degli insegnanti, i secondi segnano un punto a loro favore. Nell’indagine sulla competenza in Lettura dei bambini di quarta elementare di mezzo mondo, l’Italia si piazza nella parte alta della classifica con 548 punti.

Al primo posto figura la Federazione russa seguita da Singapore. Ma estrapolando i dati in base alla quantità di compiti assegnati dagli insegnanti si vede che gli alunni più tartassati mostrano performance meno brillanti. Dallo score italiano di 548 punti si scende a 543 per gli alunni le cui maestre dichiarano di assegnare compiti a casa tutti i giorni. Mentre gli alunni delle colleghe che li assegnano meno di una volta a settimana salgono a 552 punti. La differenza traspare in modo più evidente facendo riferimento alla quantità di compiti assegnati, espressi in minuti di lavoro richiesti per svolgerli. Quando il compito richiede un impegno di oltre 60 minuti il punteggio scende a 531 punti, se è invece possibile svolgerlo in meno di 15 minuti la prestazione sale di qualità: 552 punti. Benedetto Vertecchi, pedagogista di lungo corso, attribuisce questi risultati al lavoro fatto dagli insegnanti. “Quelli che lasciano meno compiti a casa e ottengono migliori risultati – spiega – probabilmente privilegiano alla scuola dell’adempimento quella dell’apprendimento”.

 

“Oggi – continua Vertecchi – la scuola richiede agli insegnanti una serie di adempimenti burocratici che assorbono parecchio tempo e coloro che curano in classe la lettura ad alta voce, ad esempio, che oggi è quasi del tutto abbandonata, ottengono migliori risultati“. In altre parole, meglio lavorare in classe con i propri alunni che inondarli di compiti a casa. Negli ultimi anni, i genitori hanno alzato la voce contro la mole eccessiva di compiti assegnati ai propri figli. Per Angela Nava, del Coordinamento genitori democratici, “a guidare gli insegnanti deve essere il buon senso”. “Non ci sentiamo di escludere che ci sia bisogno di una fase di riflessione a casa sul lavoro svolto in classe purché questo sia equilibrato e proporzionato. Un bambino – continua Nava – che frequenta una classe a tempo pieno, cui si aggiungono spesso altre attività (sport, musica e altro), non ha il tempo di svolgere troppi compiti”. In accordo con la Nava è Manuela Fini, dirigente dell’istituto comprensivo Domenico Purificato di Roma. “Occorre assegnare meno compiti – dichiara – perché questi vanno assolutamente corretti. Nell’istituto che dirigo – aggiunge – verifichiamo periodicamente con le famiglie il carico di lavoro degli alunni. Anche se occorre distinguere il lavoro di tutti i giorni dagli altri periodi. Nelle lunghe pause, penso a quella estiva, consigliare un libro avvicina i bambini alla lettura”. Mentre per Patrizia Borrelli, docente nella stessa scuola, “il compito a casa non deve essere un esercizio meccanico tout court”. “Deve spingere i bambini – chiarisce – alla lettura e deve abituarli ad organizzarsi il lavoro a casa in autonomia”.

 

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Bullismo a scuola

Bullismo a scuola

 

Il caso in una scuola romana: genitori e docenti non hanno fatto nulla per mettere fine alle vessazioni subite da un alunno. Ma il luoro ruolo educativo è un dovere “naturale” prima ancora che giuridico

di VALENTINA ERAMO *

Bullismo a scuola, pagano genitori e insegnanti. Ecco perché il loro ruolo è fondamentale

 

In una scuola italiana è accaduto l’inimmaginabile: i genitori e gli insegnanti, e cioè coloro che dovrebbero educare e istruire, rispettivamente, i figli e gli allievi offrendo loro l’esempio di comportamenti retti e irreprensibili, sono stati condannati, in solido col Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, a risarcire il danno fisico e psichico procurato da un alunno in danno di un altro alunno. Il primo, infatti, ha perseguitato il secondo – per mesi e mesi e, soprattutto, nella completa ignavia dantesca degli adulti – apostrofandolo con offese mortificanti sia in classe sia fuori dalla classe: un giorno ha deciso di passare dalle parole all’azione e, come premesso, nell’indifferenza generale del corpo docente, ma anche della famiglia d’origine, quindi del tutto indisturbato, ha procurato al suo compagno di banco “la rottura del setto nasale e contusioni della ragione orbitale”.

La responsabilità degli insegnanti verso gli alunni che subiscono bullismo a scuola è sancita dall’articolo 2048 del nostro codice civile che prescrive, espressamente, ai primi di vigilare sui secondi, sì da impedire, durante l’orario scolastico, la consumazione dei cosiddetti “fatti illeciti” perpetrati dagli allievi minorenni in danno di altri studenti (o terze persone in genere). Questa norma, in tutta onestà, ha il solo pregio di essere ovvia: non codifica principi di diritto strabilianti, ma immanenti, connaturati e impliciti al ruolo dell’insegnante che non può far finta di niente se qualcuno dei suoi allievi proferisce inurbanità in classe o, peggio, aggredisce fisicamente il compagno costringendolo alle cure del Pronto Soccorso.

Eppure, quello che può sembrare scontato, scontato non è: la sentenza n. 6919, pubblicata lo scorso 4 aprile 2018 dal Tribunale di Roma, descrive la trama di un film noir che avrebbe potuto trovare ambientazione in un contesto spettrale quale, per esempio, il sotterraneo di un parcheggio dove, a tarda notte, la vittima designata non ha (per copione) via di scampo. Invece il giudice estensore della sentenza ora citata ha ambientato la trama dell’aggressione subita dall’alunno in una scuola pubblica di Viterbo dove i vocaboli sconci, le minacce di morte e la rottura del setto nasale sono avvenuti alla luce del sole e sotto gli occhi indifferenti degli adulti. Che non solo non hanno vigilato, ma non hanno alzato un dito per prevenire, impedire e mettere fine alle vessazioni inflitte per mesi dall’allievo minorenne in danno della vittima, sempre minorenne. Il peggiore di tutti si è rivelato l’insegnante di matematica: pur docente di una scienza esatta, non ha saputo far tesoro dei suoi insegnamenti e ha mandato in tilt il sistema scolastico, provocandone il cortocircuito dei valori più elementari di civiltà: è diventato l’emblema del lassismo e il simbolo dell’omertà. Durante la sua lezione, infatti, il giovane aggressore ha iniziato a consumare e perpetrare la condotta illecita che, poi, ha completato dapprima nel cortile della scuola e successivamente fuori dal suo cancello, sferrando il colpo che ha mandato il compagno di classe in ospedale.

Non si sono rivelati migliori degli insegnanti i genitori del minore rinviato a giudizio dal GUP presso il Tribunale per i minorenni di Roma per l’illecito ascrittogli: anche costoro, titolari della responsabilità genitoriale anche in forza dell’articolo 316 del codice civile (oltre che dell’articolo 2048 del codice civile), si sono marchiati col contrassegno, disonorevole, della noncuranza perché non hanno neppure accompagnato il figlio in udienza, pur destinatario di un capo di imputazione grave. Eppure il suo papà era un avvocato abituato a calcare le aule di giustizia: si è difeso col peggiore degli argomenti, e cioè eccependo che la separazione e il divorzio dalla moglie lo avevano costretto, suo malgrado, a vivere a centinaia e centinaia di chilometri di distanza dal figlio impedendogli, per fatti concludenti, di educarlo convenientemente.

Se, in questo caso, scuola e famiglia – entrambe colpevoli di condotte “omissive” – hanno fallito perché si sono disinteressate dei compiti di cura verso i minori (vittime del reato o autori del reato), abdicando ai doveri di istruzione ed educazione costituzionalmente sanciti e connaturati al ruolo di insegnante e genitore, in molti altri casi hanno centrato, invece, l’obiettivo e hanno saputo orientare gli agiti dei minori affidati alle rispettive e complementari responsabilità. A Milano, per esempio, non mancano gli esempi virtuosi di Presidi che hanno aderito alla campagna di sensibilizzazione promossa da associazioni senza fine di lucro, quali il Rotary Club Milano, indirizzate a informare docenti e genitori sui rischi legati a modelli comportamentali degli adulti inadeguati verso i minori. Uno di questi comportamenti inappropriati consiste nel “non” accorgersi che i ragazzi rischiano di ammalarsi di “cyber – dipendenza” (alle volte passibile di degenerare in “cyber – bullismo”) perché vivono, ormai, “connessi” 24 ore su 24 alla rete Internet, persino alterando i ritmi sonno – veglia, sì da non perdersi un solo minuto del loro mondo virtuale. Un altro di questi comportamenti inadatti consiste nel “non” preoccuparsi di controllare i contenuti della posta elettronica dei propri ragazzi o delle comunicazioni via Facebook o Social Network alle quali questi ultimi, ingenuamente, partecipano col rischio di cadere nella rete dei pedofili o di diventare vittime del gioco d’azzardo.

Resta vero che è increscioso demandare allo Stato, tramite il potere legislativo e quello giurisdizionale, la prescrizione e l’applicazione di doveri “innati” al ruolo di insegnante e genitore: vigilare sugli allievi a scuola e orientarli al rispetto del prossimo, così come educare i figli a casa e incoraggiarli a diventare persone perbene e osservanti dei valori della civiltà sono, prima di tutto, doveri “naturali”, cioè legati alla natura umana, e, solo in un secondo tempo, doveri “giuridici”, cioè discendenti dalla codificazione legislativa. La dicotomia tra diritto naturale e diritto codificato ha interessato illustri filosofi e giuristi già secoli addietro, mentre oggi sembra superata dalla convinzione che tutto ciò che non è scritto in una norma di legge è permesso. Ma non è così. Andando di questo passo lo Stato dovrà prescriverci anche le norme più elementari di condotta portandoci via, ma a buona ragione, l’autonomia di pensiero e di azione propria dei regimi democratici.

 

 

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