Scuola, giovani iperconnessi.

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Scuola, giovani iperconnessi.

Scuola, giovani iperconnessi.

“Una vita nei social, ma la tv resiste”

 

Il ritratto della Generazione Z, i nativi tecnologici che passano oltre cinque ore al giorno davanti a uno schermo. L’indagine su novemila ragazzi interpellati dalla comunità studentesca ScuolaZoo

di ILARIA VENTURI

 

Scuola, giovani iperconnessi, passano più di cinque ore al giorno davanti a uno schermo, sia ecco il pc o il telefonino, il tablet o la tv. Lo smartphone? “Dalla mattina fino all’infinito”: non lo spengono di notte, è la prima cosa che guardano al risveglio. “Ormai è un gesto automatico”, ammettono. Chattano, ascoltano musica, seguono gli youtuber. E leggono, ma praticamente solo online. Vivono nei social, eppure non disdegnano la televisione che non ha perso appeal, anzi si prende una sua rivincita tra i ragazzi rispetto a chi la voleva vedere dimenticata.
Ritratto della Generazione Z (o dei Centennial): i nati tra il 1995 e il 2010, fratelli minori dei Millenials, quelli che usano Internet sin dalla nascita. Ne sono stati fatti tanti, ci prova ora una ricerca condotta da ZooCom e da Havas Media attraverso un sondaggio realizzato sul profilo di ScuolaZoo, che ha coinvolto 9mila giovani dai 13 ai 35 anni, focus group con 72 ragazzi di Milano, Roma, Napoli e Padova e interviste a professionisti, animatori e manager della community studentesca.

“Siamo quelli delle spunte blu di Whatsapp, non conosciamo l’attesa in una relazione. Siamo quelli delle storie su Instagram e quelli di Snapchat: viviamo il presente come non mai. Ci connettiamo a tutto, ci soffermiamo su poco, ci appassioniamo parecchio”, aveva raccontato Giacomo Mazzariol, classe 1997, autore del recente libro “Gli squali”, nel suo viaggio su Repubblica. Questa nuova indagine tenta di capire i come e i perché: “Perché questi ragazzi accedono a Internet? Cosa fanno sui social media? Come entrano in contatto con le nuove tecnologie digitali? “Prima di indagare sulle cause e i motivi della presenza – si legge nella premessa – è necessario capire il momento in cui i ragazzi entrano per la prima volta in contatto con un dispositivo connesso a Internet. L’accesso alle piattaforme digitali avviene come un imprinting, da subito: non è infatti raro vedere dei bambini di 3-5 anni ipnotizzati dai video di Peppa Pig su Youtube”. Nativi tecnologici, dunque.

Lo smartphone? “E’ parte del corpo”
Lo smartphone è il contenitore di tutti i loro interessi. Lo usano per divertirsi (“cazzeggiare” riporta l’indagine riportando le motivazioni di quasi un quarto degli intervistati), per chattare (un quinto), per ascoltare la musica (dal 17 al 21% a seconda delle età), per guardare video (dal 14 al 17%) e per fare ricerche on line (dall’11 al 18%).

Davanti a uno schermo (telefonini, pc, tv, tablet) in media passano più di 5 ore al giorno. Chi ha tra i 13 e i 18 anni ci sta 5 ore e dieci minuti; chi tra i 19 e i 23 anni passa al cellulare o al pc cinque ore e mezze, poco di più chi ha tra i 24 e i 34 anni: 5 ore e tre quarti. Il cellulare è usato principalmente per passare da un social a un altro.

Il più utilizzato, per condividere passioni e interessi personali, è Instagram (99,58%): viene considerato importante “anche la dimensione del gossip: sono diventati dipendenti dalle storie attraverso le quali possono “spiare” amici e vip”. Segue Facebook (72,43%), anche se i più giovani lo usano solo occasionalmente: il 13% degli under 18 dice di non usarlo “perché infastidito dal fatto che ci sono anche i suoi parenti”. You Tube rimane uno dei canali preferiti e Snapchat (52%), racconta l’indagine, resiste grazie ai format video che alimentano le Instagram story. I più piccoli, per “mettersi un po’ in mostra”, usano Musically (18,38%) e ThisCrush (16%). Al contrario, Twitter (usato per le news politiche e per seguire i grandi show) e Linkedin vengono usati dai più grandi.

I like? Niente è casuale…
Quando esprimono una preferenza sui social perché lo fanno? Niente è casuale, spiega l’Indagine. Sono emersi cinque significati ricorrenti: la visibilità (avere tanti follower è sinonimo di desiderabilità, cuoricini e like influenzano l’autostima del 65% dei ragazzi intervistati); la conquista (un modo per corteggiare: metto tutti i like alle sue foto così mi nota, non lo faccio così “schiatta”); l’amicizia (si chiama easy like, non importa il contenuto, appena l’amico pubblica io gli assicuro un like); l’update (per mantenere attivi i rapporti). Infine c’è il “no like” usato per esprimere indifferenza.

Cosa cercano e inseguono sui social?
Abbigliamento, sport, cibo e bevande sono le tipologie più seguite via social. Il motivo? “Cercare qualcosa che stupisca e che scateni una reazione”. In media i ragazzi seguono 17 marche, senza particolari differenze per età. Instagram è il canale degli influencer “che si seguono perché pubblicano dei contenuti interessanti”.

 

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La nuova Maturità, possibili scritti misti

La nuova Maturità, possibili scritti misti:

Greco insieme a Latino, Fisica con Matematica

 

Scuola, dopo l’abolizione del quizzone ecco i quadri per l’Esame del prossimo giugno. A gennaio si sparà se ci sarà la “doppia prova”. Introdotte “griglie nazionali” per una valutazione omogenea sul territorio. Il ministro Bussetti: “All’orale portate la Costituzione”

di CORRADO ZUNINO

 

Il nuovo ministero dell’Istruzione mostra la nuova Maturità e offre le molte novità del prossimo Esame di Stato (che ancora una volta cambia, come annunciato con la circolare dello scorso 4 ottobre). Ai Licei classici ci potrà essere uno scritto cosiddetto misto: sia Greco che Latino. E allo Scientifico Matematica e Fisica insieme, materie che fino ad oggi venivano alternate. Se confermata a gennaio, la novità sarà dirompente.

Classico, tre domande dopo lo scritto

E’ la seconda prova quella che potrà essere rivista più profondamente, abbiamo visto. Nel dettaglio, sarà svolta il 20 giugno prossimo e i maturandi sceglieranno le discipline a gennaio (come negli anni precedenti). Per il Liceo classico, ad esempio, la prova sarà articolata in due parti. Ci sarà una versione, un testo in prosa corredato da informazioni sintetiche sull’opera, preceduta e seguita da parti tradotte per far conoscere il contesto del brano estrapolato e offerto agli studenti. Un contesto già tradotto e un brano scelto da tradurre. Tutto nuovo. Seguiranno tre domande relative alla comprensione e all’interpretazione del brano stesso e alla sua collocazione storico-culturale. Il ministero, come prevede la nuova normativa, potrà scegliere di offrire una prova mista con entrambe le discipline caratterizzanti: Latino e Greco. Il ministro Marco Bussetti sulla questione deciderà il prossimo gennaio. A febbraio arriverà, poi, la complessiva ordinanza sugli Esami, questa sarà anticipata di tre mesi.

Allo scientifico quattro risposte su otto

Per il Liceo scientifico la struttura della seconda prova prevede la soluzione di un problema a scelta del candidato tra due proposte e la risposta a quattro quesiti tra otto proposte. Anche in questo caso la prova potrà riguardare ambedue le discipline caratterizzanti: Matematica e Fisica.

Per gli Istituti tecnici la struttura dello scritto prevede una prima parte, che tutti i candidati sono tenuti a svolgere, seguita da una seconda parte che offre una serie di quesiti tra i quali il candidato sceglierà sulla base del numero indicato in calce al testo. Anche qui potranno essere coinvolte più discipline. Per esempio, per l’indirizzo Amministrazione, Finanza e Marketing l’elaborato consisterà in una delle seguenti tipologie: “Analisi di testi e documenti economici attinenti al percorso di studio; analisi di casi aziendali; simulazioni aziendali”.

Per gli Istituti professionali la seconda prova si comporrà di una parte definita a livello nazionale e di una seconda parte predisposta dalla singola Commissione, per tenere conto della specificità dell’offerta formativa dell’Istituzione scolastica.

Scritto di Italiano, una prova “dall’Unità ai nostri giorni”

La nuova Maturità, questo è noto, prevede due scritti invece di tre con l’eliminazione della terza prova: il quizzone, introdotto nel 1997 da Luigi Berlinguer. Per quanto riguarda la prima prova – il testo scritto in Italiano appunto, da svolgere il prossimo 19 giugno – i maturandi dovranno innanzitutto dimostrare di “padroneggiare il patrimonio lessicale ed espressivo della lingua italiana secondo le esigenze comunicative nei vari contesti” e, per la parte letteraria, “di aver raggiunto un’adeguata competenza sull’evoluzione della civiltà artistica e letteraria italiana dall’Unità ad oggi”. Una scuola che fatica ad arrivare alla Storia e alla Letteratura contemporanee dovrà dare un’accelerazione allo studio dei programmi di quinta. Ancora, i testi prodotti saranno valutati “in base alla loro coerenza, alla ricchezza e alla padronanza lessicali, all’ampiezza e precisione delle conoscenze e dei riferimenti culturali, alla capacità di esprimere giudizi critici e valutazioni personali”. La prova di Italiano avrà una durata di sei ore. I candidati all’Esame dovranno produrre un elaborato scegliendo tra sette tracce riferite a tre tipologie (A, due tracce – analisi del testo; tipologia B, tre tracce – analisi e produzione di un testo argomentativo; tipologia C, due tracce – riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità). Le tracce potranno essere offerte da un ambito artistico, letterario, filosofico, scientifico, storico, sociale, economico e tecnologico.

All’orale Alternanza scuola lavoro e Costituzione. Anche in Inglese

Per la prova orale la commissione proporrà ai candidati di analizzare testi, documenti, esperienze, progetti e problemi “per verificare l’acquisizione dei contenuti delle singole discipline, la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite e di collegarle per argomentare in maniera critica e personale”. Si potrà fare questo utilizzando, in parte, la lingua straniera. Nel corso del colloquio il candidato esporrà, “con una breve relazione o un elaborato multimediale”, le esperienze di Alternanza scuola lavoro svolte. L’Alternanza, si sa, il colloquio accerterà anche le conoscenze e le competenze maturate nell’ambito delle attività di Cittadinanza e Costituzione. La commissione dovrà tenere conto di quanto diranno i docenti nel documento che indicherà il percorso effettivamente svolto.

La valutazione nazionale per appianare i giudizi

Con i quadri pubblicati oggi – i quadri di riferimento di tutte le materie sono pubblicati a questo indirizzo: http://www.miur.gov.it/web/guest/news/-/asset_publisher/ubIwoWFcqWhG/content/esami-di-stato-del-secondo-ciclo-di-istruzione-a-s-2018-2019-d-m-769-del-26-novembre-2018 – si cerca di offire griglie uguali per tutti con la finalità di dare un voto con gli stessi paramentri su tutto il territorio nazionale. In passato, si è molto scritto dei voti più alti nelle regioni del Sud e un ministro di espressione leghista ha voluto tener conto di questo aspetto: “Garantiremo maggiore equità e più omogeneità nelle correzioni”. Docenti e studenti potranno iniziare a esercitarsi con specifiche simulazioni. Il Miur, a partire dal mese di dicembre, metterà a disposizione tracce-tipo per accompagnare ragazzi e insegnanti verso il nuovo Esame.

Dichiara il ministro Marco Bussetti: “AIla luce delle nuove regole lavorereremo affinché le tracce siano davvero corrispondenti con quanto fatto dai ragazzi durante il percorso di studi, fornendo apposite indicazioni agli esperti che dovranno produrre i testi. Nei prossimi giorni partirà un Piano di informazione e formazione che accompagnerà le scuole. Da domani ci saranno conferenze di servizio sull’intero territorio nazionale che proseguiranno nelle prossime settimane”.

Bisogna ricordare che nel voto finale avrà più peso il percorso di studi del triennio: fino a 40 punti su 100, invece degli attuali 25. Alla Commissione spettano poi fino a 60 punti: massimo 20 per ciascuna prova scritta e per l’orale. Per l’ammissione all’esame conterà la frequenza a scuola – almeno i tre quarti delle ore previste di lezione – e il 6 in ciascuna disciplina, compresa la sufficienza nel comportamento.

 

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Scuola, docenti italiani i meno rispettati dagli studenti

Ricerca del Global teacher status index: “Il Paese al 33° posto su 35, peggio solo Brasile e Israele. Questo influisce sul rendimento degli alunni”

di CATERINA PASOLINI

 

Scuola, docenti italiani i meno rispettati dagli studenti.

Una docente presa a sediate dagli studenti, una mamma che sputa addosso alla maestra della figlia. E’ cronaca degli ultimi giorni a confermare quello che dicono le statistiche internazionali: l’Italia è tra gli ultimi paesi al mondo per rispetto nei confronti di chi insegna.

A dirlo con i numeri l’indagine del Global teacher status index, fatto grazie a 35mila intervistati tra i 16 e i 65 anni. Il nostro paese è al 33 posto su 35 per quanto riguarda lo status degli insegnanti, il rispetto degli alunni per chi sta in cattedra è in linea. E il mancato rispetto va di pari passo con i cattivi risultati degli studenti: anche loro agli ultimi posti nei test internazionali Pisa di matematica e lettura.

“Questo indice fornisce finalmente una prova accademica a qualcosa che abbiamo sempre saputo istintivamente: il legame tra lo status degli insegnanti nella società e il rendimento dei bambini a scuola. Ora possiamo affermare senza ombra di dubbio che il rispetto degli insegnanti non è solo un importante dovere morale, ma è essenziale per i risultati scolastici di un paese” dice Sunny Varkey della Varkey foundation che ogni anno organizza il global teacher prize per il miglior professore del mondo, un modo per ricordare l’importanza dei docenti nella costruzione del futuro del pianeta

Solo il 16% degli italiani intervistati ritiene infatti che gli studenti i rispettino i propri insegnanti. Si tratta del sesto dato più basso tra tutti i paesi intervistati e del più basso in assoluto tra le grandi economie europee. Un dato che colloca l’Italia nel mondo molto più indietro rispetto alla Cina, dove l’81% degli intervistati ritiene che gli alunni rispettino i propri insegnanti. E va sempre peggio. Gli italiani credono che il rispetto degli alunni per gli insegnanti sia diminuito dal 2013 quando era il 20%

Eppure nonostante tutto questo, quasi un italiano su tre (il 31%) spingerebbe il proprio figlio a diventare insegnante. Probabilmente nella speranza di sfuggire alla crisi trovandosi un posto mal retribuito ma fisso, sicuro.  La nostra rappresenta infatti la seconda percentuale più alta tra le maggiori economie dell’UE dopo la Spagna (39%), con un aumento rispetto al 2013, anno in cui la stessa si fermava al 28%.

E parlando di retribuzioni,  la metà degli intervistati ritiene che gli insegnanti dovrebbero essere pagati in base ai risultati dei loro alunni, mentre quelli contrari all’idea sono poco più di un quarto (26%). Attrae meno che in passato l’idea che lo stipendio sia legato ai risultati. Nel 2013 il 67% era favorevole, ora il 50.

In merito allo status degli insegnanti, l’Italia ottiene una delle posizioni più basse tra i paesi intervistati, posizionandosi al 33° posto su 35 nel Global Teacher Status Index 2018. Solo Israele e Brasile si collocano più in basso. Lo status degli insegnanti e i risultati degli alunni in Italia corrispondono; infatti, il punteggio estremamente basso è in linea con il diciannovesimo posto ottenuto tra i paesi intervistati in relazione ai punteggi PISA, che valutano i risultati in matematica e lettura.

 

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Scuola, l’ascensore sociale è fermo.

Scuola, l’ascensore sociale è fermo: solo il 12% dei ragazzi svantaggiati riesce bene negli studi

I dati del rapporto Ocse-Pisa “Equity in education”. Le difficoltà si vedono già a 10 anni. Il livello culturale dei genitori influsice anche sulla scelta di garantire ai figli insegnanti migliori

di CORRADO ZUNINO

 

ROMA – Nelle nostre classi disuguali solo il 12 per cento degli studenti più svantaggiati sulla scala socio-economica entra nel novero dei “più bravi”. Uno ogni otto. La conferma del fatto che l’ascensore sociale è fermo emerge dal nuovo rapporto sulle disuguaglianze a scuola redatto dall’Ocse, “Equity in education”, che già dal titolo racconta, e questo vale in tutto il mondo industrializzato, come gli svantaggi scolastici inizino a manifestarsi già a dieci anni. Da noi è l’età della quinta elementare.

I tre ingredienti della resilienza

Dicevamo quel 12 per cento, povero, che resiste. E che frequenta, perlopiù, un liceo. S’interrogano i ricercatori dello studio internazionale: dove si trova la forza, che cosa ispira la resilienza di questo gruppo che ha compreso presto come la scuola sia la prima e più alta opportunità di cambiamento delle singole vite? Il direttore di Ocse education, Andreas Schleicher, indica tre motivazioni alla base di questo successo di nicchia: l’assiduità del ragazzo in classe, l’origine sociale “media” degli altri studenti dell’istituto (se un povero fosse inserito in un contesto di ricchi pagherebbe maggiormente questa distanza) e un migliore “clima di disciplina” a scuola. Le strutture più organizzate e serie servono soprattutto ai meno abbienti.

Ecco, in Italia, come spiega l’analista Francesco Avvisati che ha curato il focus nel perimetro del nostro Paese, le competenze acquisite sono legate fortemente all’origine sociale. Sulla scala Pisa, più di 150 punti separano la valutazione media del 25 per cento più bravo dal punteggio raggiunto dal 25 per cento più svantaggiato. I dati presi in esame sono quelli della stagione 2014-2015, la grande indagine che ora viene analizzata nei suoi dettagli.

 

Il tasso di segregazione

La metà degli studenti meno abbienti frequenta il 25 per cento delle scuole più svantaggiate del Paese, ancora. Solo il 6 per cento viene iscritto negli istituti prestigiosi.  L’Ocse lo chiama “livello di segregazione” e dice che l’Italia è nella media degli altri 34 Paesi testati. Tra l’altro, l’organizzazione di Parigi aveva già messo in rilievo come il buon inserimento di “alunni svantaggiati” costituisca una risorsa per tutti, figli di famiglia bene compresi.  La percentuale di studenti svantaggiati che dichiara di “sentirsi nel suo ambiente” a scuola è diminuita, tra il 2003 e il 2015, dall’85 per cento al 64 per cento, un calo più significativo – quasi venti punti – di quello registrato nel resto della popolazione.

L’importanza della cultura dei genitori

Va ricordato che in Italia, secondo dati raccolti nel 2012, solo il nove per cento dei 25-64enni i cui genitori non hanno raggiunto il livello d’istruzione secondario superiore ha completato gli studi a livello terziario (la media Ocse è del 21 per cento). La percentuale sale al 59 per cento (cinque volte tanto) tra coloro con almeno un genitore con un’istruzione secondaria superiore e addirittura all’87 per cento tra coloro che hanno un genitore laureato. L’81 per cento degli adulti con padre e madre senza un livello d’istruzione da maturità ha terminato gli studi allo stesso ciclo d’istruzione:  significa che solo il 19 per cento, uno su cinque, è riuscito a raggiungere un livello di formazione e competenze più elevato rispetto ai propri genitori.

La scelta degli insegnanti

L’origine sociale incide fortemente anche nella scelta dei docenti cui affidare la preparazione dei figli. Il rapporto pubblicato a giugno 2018 sottolineava le forti iniquità nelle possibilità di accesso a insegnanti esperti e qualificati. Le scuole superiori con una maggiore concentrazione di studenti svantaggiati tendono ad avere una percentuale minore di insegnanti abilitati (83 per cento contro il 97). Le scuole difficili e periferiche, nel 2015, avevano più insegnanti precari: 26 per cento tra i docenti di scienze, per esempio, contro il 12 per cento degli istituti blasonati. In generale, nelle scuole di periferie vi sono insegnanti più giovani (meno esperienza) che lasciano più in fretta l’istituto assegnato.

 

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Professori al ministro: “Faremo politica a scuola”.

Professori al ministro: “Faremo politica a scuola”.

Professori al ministro: “Faremo politica a scuola. Non quella urlata dei politici, quella vera”.

 

Un gruppo di docenti scrive a Bussetti facendo propria la missiva del collega Enrico Galiano a Salvini sulla libertà di insegnamento. Il leader della Lega aveva twittato: “Avanti futuro! Basta politica in classe”

di SALVO INTRAVAIA

 

“Egregio Signor Ministro, continueremo a fare politica in classe. Ma non quella urlata dei politici attuali, quella vera”. Un gruppo di docenti italiani invia una lettera al ministro dell’Istruzione Marco Bussetti “adottando” e facendo propria la missiva inoltrata a settembre dal professore Enrico Galiano al ministro dell’Interno Matteo Salvini, che si augurava che i docenti non facessero politica a scuola.

“Siamo un gruppo di docenti della scuola pubblica statale, provenienti da varie regioni italiane. Abbiamo condiviso il testo di questa lettera – si legge nella missiva – scritta da Enrico Galiano e la stiamo diffondendo in rete, fra le nostre colleghe e i nostri colleghi docenti, in quanto riteniamo necessario che, sul tema della libertà d’insegnamento, si sviluppi un grande dibattito nel Paese, che vada oltre i confini degli addetti ai lavori”.

Per il gruppo di insegnanti “il ruolo sociale della scuola e di chi ci lavora è fondamentale, a partire dal dettato costituzionale, per la difesa e la piena attuazione della democrazia. Per questo, ogni giorno, nelle aule dove siamo chiamati a svolgere il nostro compito di educatrici ed educatori delle generazioni più giovani, terremo sempre presente il valore della libertà di pensiero e d’insegnamento, affinché le ragazze e i ragazzi italiani, non solo per nascita, imparino a comprendere e a riaffermare in tutti gli atti della loro vita questi valori”. Nella lettera a Salvini il professor Galiano rispondeva al tweet del ministro (“Per fortuna gli insegnanti che fanno politica in classe sono sempre meno, avanti futuro!”) in questo modo: “Io faccio e farò sempre politica in classe”.

Precisando poi di quale politica si tratta. “Il punto – spiega il docente – è che la politica che faccio e che farò non è quella delle tifoserie, dello schierarsi da una qualche parte e cercare di portare i ragazzi a pensarla come te a tutti i costi. Non è così che funziona la vera politica. La politica che faccio e che farò è quella nella sua accezione più alta: come vivere bene in comunità, come diventare buoni cittadini, come costruire insieme una polis forte, bella, sicura, luminosa e illuminata. Ha tutto un altro sapore, detta così, vero? Sì, perché fare politica non vuol dire spingere i ragazzi a pensarla come te: vuol dire spingerli a pensare. Punto. È così che si costruisce una città migliore: tirando su cittadini che sanno scegliere con la propria testa. Non farlo più non significa “avanti futuro”, ma ritorno al passato”.

 

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Scuola negata ai disabili, scoppia la protesta

Scuola negata ai disabili, scoppia la protesta: “Sospendete le lezioni per tutti”

I servizi di assistenza ancora non sono partiti. La solidarietà dei presidi: “Se potessimo chiuderemmo gli istituti”. E c’è chi fa lo sciopero della fame

di SALVO INTRAVAIA

 

“Se potessi farlo, chiuderei davvero la scuola per protesta”. I genitori degli studenti disabili, costretti a rimanere a casa per la mancanza di assistenza che dovrebbe assicurare la Città metropolitana (la ex Provincia regionale), chiamano in causa i dirigenti scolastici e questi si schierano totalmente dalla loro parte. Perché dopo due settimane di lezione non tutti gli studenti disabili sono riusciti ad entrare in classe. E la polemica divampa. Dall’account Facebook #SiamoHandicappatiNoCretini parte la richiesta ai capi d’istituto di “interrompere le attività didattiche finché non ci saranno pari diritti per tutti”. Mentre il presidente dell’Anffas Sicilia, Antonio Costanza, (l’Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale) ha iniziato ieri lo sciopero della fame.

“E’ intollerabile che nel 2018 i servizi a supporto degli alunni disabili non inizino il primo giorno di scuola. Proseguirò lo sciopero – continua Costanza – fino a quando non avremo risposte dalle istituzioni: quando i nostri alunni avranno i servizi che spettano loro di diritto”. Una richiesta che trova d’accordo il preside del liceo artistico Catalano, Maurizio Cusumano, dove studiano 45 alunni disabili. “Se potessi farlo, chiuderei davvero la scuola in segno di vicinanza a tutti gli alunni disabili che non possono raggiungere le scuole. Ma non posso”.

“E’ aberrante – continua – che ogni anno ci si debba trovare in queste condizioni. Sono nauseato”. Le scuole inviano, per il tramite dell’Ufficio scolastico regionale, alla Città metropolitana di Palermo le istanze con i servizi richiesti a giugno. Evidentemente, non bastano due mesi abbondanti per approntare il tutto. Sono circa 400 gli studenti delle superiori di Palermo e provincia che hanno richiesto l’assistenza igienico-sanitaria e il trasporto-disabili. Per molti è impossibile raggiungere la scuola con mezzi propri. “Non capisco – dice Eliana Romano, a capo dell’istituto Ferrara in pieno centro storico – come ci si possa trovare ogni anno di fronte allo stesso problema. Bisognerebbe pensarci prima. La mia scuola è frequentata da 24 alunni disabili e per fortuna molti sono autonomi, ma uno non frequenta”.

“E’ assurdo – incalza Pia Blandano, preside del liceo Regina Margherita di Palermo – E’ ovvio che si lede il diritto allo studio di questi ragazzi ma non si riesce a risolvere il problema. Probabilmente, c’è un problema sui bilanci dell’ex Provincia. Ovviamente non possiamo chiudere la scuola, si tratta di una provocazione che comprendo”. Al Regina Margherita sono 60 gli alunni diversamente abili. Più di metà dipendono dal trasporto disabili e dagli assistenti e frequentano la scuola a singhiozzo, in base alle disponibilità dei genitori di accompagnarli e riprenderli dopo le lezioni. “Una mamma – conclude Blandano – mi ha detto che può accompagnare la figlia solo per due ore a settimana. Ma purtroppo anche quando partirà il servizio, se sarà come quello dell’anno scorso, si risolveranno i problemi solo in parte

 

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Via all’anno scolastico con 75mila alunni in meno

Via all’anno scolastico con 75mila alunni in meno. Piace il liceo classico, fuga dal latino allo scientifico

Record di bambini e ragazzi disabili e alunni stranieri che tornano a crescere: il report del ministero dell’Istruzione

di SALVO INTRAVAIA

 

Meno plessi scolastici e meno alunni seduti in classe. Record di bambini e ragazzi disabili e alunni stranieri che tornano a crescere. In ripresa il liceo classico ma è fuga dal latino allo scientifico. Notte fonda invece per gli istituti professionali che continuano a perdere adepti. Domani mattina alle 8 in punto, quasi un milione di alunni di Abruzzo, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte faranno il loro primo ingresso in aula. Dal 12 settembre al 20, con la Puglia che chiude la lista, 7milioni e 768mila alunni delle scuole statali avranno iniziato le lezioni per il 2018/21019. Il ministero dell’Istruzione ha pubblicato l’annuale report con tutti i numeri dell’anno in questione.

Per effetto delle razionalizzazioni regionali, calano di quasi 181 unità le sedi dove si svolgeranno le lezioni. E il calo della popolazione scolastica, già prevista dalle statistiche dell’Istat, comincia a prendere forma: meno 75mila alunni in un solo anno, quasi tutti concentrati nella scuola dell’infanzia e nella primaria, e 121mila in meno in cinque anni. Di contro, aumenteranno gli alunni stranieri che, dopo un arresto del trend positivo, torneranno a crescere a buon ritmo: la previsione del Miur è di 788mila alunni non italiani, più 4 per cento rispetto all’anno scorso. Con record alla scuola media, che incrementerà la presenza straniera tra i banchi dell’8 per cento.

Dopo le prime avvisaglie degli anni scorsi, i numeri confermano il ritorno dei ragazzini di scuola media al ginnasio. Il liceo classico registra 2.200 alunni in più di 12 mesi fa, per un totale di 150mila presenze nei cinque anni. Ma allo scientifico è fuga dal Latino. Chi può e chi non ce la fa a tenere il ritmo del percorso ordinamentale preferisce virare sulle opzioni (scienze applicate e liceo sportivo) che non contemplano lo studio della lingua di Cicerone. In cinque anni, l’indirizzo dello scientifico ordinario (col latino) ha perso 88mila iscritti mentre i due indirizzi senza latino, che molti considerano light, conteggiano 89mila iscritti in più. E continua la licealizzazione della scuola superiore, in cui 49 ragazzi su cento sono in forza ai licei.

Tengono, con il 31,5 per cento di presenze in classe, gli istituti tecnici e continuano a contare meno alunni gli istituti professionali che negli ultimi anni sono andati incontro a ben due riforme. I 513mila iscritti rappresentano meno del 20 per cento di tutti i ragazzi delle superiori. Un record negativo. Che si contrappone al nuovo primato (245mila) di alunni disabili, 11mila in più rispetto allo scorso anno. Un fenomeno che farà crescere di 3mila unità anche i docenti specializzati nell’insegnamento ai soggetti disabili: gli insegnanti di sostegno che tuttavia, percentualmente, dovranno seguire più alunni in contemporanea: 1,74 a testa.

 

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A Piacenza la prima scuola cellulari-free.

Anche il Parini come la scuola di Piacenza……….

A Piacenza la prima scuola cellulari-free. Una lettera avverte i genitori.

L’istituto sportivo San Benedetto si doterà di speciali tasche che schermano i dispositivi

 

Una scuola cellulari free. Sarà la prima in Italia. Per rieducare i ragazzini alla socializzazione. Il liceo sportivo San Benedetto ha inviato una lettera alle famiglie per avvertirle che da lunedì i loro figli non potranno usare il cellulare in classe. “Seppur consapevoli della grande utilità dei cellulari, crediamo che il loro utilizzo diventi sempre più una fonte di distrazione, di comportamenti asociali e di conflitto sia a scuola che a casa”. La dirigenza del Liceo San Benedetto di Piacenza lo ha scritto in una lettera ai genitori degli studenti che, lunedì, primo giorno di scuola, troveranno una novità: l’istituto si doterà di un sistema per impedire agli studenti l’uso del cellulare a scuola, ricreazione compresa.

E’ la speciale tasca Yondr che scherma i dispositivi: una volta chiusa dall’insegnante alla prima ora, potrà esser sbloccata solo dagli stessi docenti, che lo faranno al termine dell’ultima lezione, tramite un’apposita base. Gli studenti potranno tenere con sé lo smartphone, reso inefficace. “Siamo la prima scuola phone-free di Italia”, dicono all’istituto. “Ricerche hanno dimostrato – prosegue la lettera – che la semplice presenza di cellulari nelle aule può avere un’influenza negativa sulla performance degli studenti”

L’istituo spiega che la sperimentazione in molte scuole americaneè stata utile anche per rieducare i teen-ager, che spesso si isolano anche nel contesto scolastico, alla socialità.

Attualmente le tasche Yondr, prodotte da un’azienda statunitense, sono utilizzate in centinaia di scuole nel mondo, ma anche a concerti e altri spettacoli, in tribunali, ai matrimoni o eventi dedicati ai bambini. “Dobbiamo ricordarci che l’obiettivo di questi spazi – scrive ancora la scuola ai genitori – è di incoraggiare le persone a relazionarsi l’una all’altra e al contesto”. E, riferendosi allo stop nell’uso dei cellulari, aggiunge: “Crediamo fermamente che ciò permetterà ai nostri studenti di essere maggiormente coinvolti nelle attività di classe e nei compiti, meno dipendenti dalla tecnologia nello svolgimento dei compiti in classe, meno coinvolti in atti di cyberbullismo, meno distratti e meno portati a procrastinare i compiti assegnati”.

 

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Maturità 2019: Le ultimissime dal MIUR

Maturità 2019: Le ultimissime dal MIUR

Di Andrea Carlino

I temi dell’alternanza scuola/lavoro e delle prove Invalsi sono sempre all’attenzione dell’opinione pubblica. Nelle intenzioni del ministro Marco Bussetti i due aspetti, tra i più contestati della Buona Scuola, devono essere ampiamente rivisti.

Ministro Bussetti: “Profonda riflessione su Invalsi”

A Radio Capital, Bussetti ha ribadito che si cambierà qualcosa su entrambi i fronti: “Profonde riflessioni sull’Invalsi. Il tema è la valutazione generale, che non può avere riferimenti di tipo oggettivo senza considerare contesti e culture. L’attenzione alle persone è fondamentale“.Lunedì scorso, a Il Messaggero, Bussetti era stato ancora più chiaro sull’argomento: “Le prove Invalsi si faranno, ma non saranno prescrittive ai fini dell’esame di Stato. Anche questo rinvio è una decisione di buon senso. Ci sarebbe stata, per la prima volta, una prova di inglese che gli studenti avrebbero affrontato senza avere mai avuto il tempo di sperimentare. Assurdo. La prova rimane come rilevazione degli apprendimenti, come valutazione di sistema. E poi sì, bisogna pensare anche ad altre forme di valutazione non solo degli apprendimenti ma delle soft skills (le capacità personali nell’affrontare problemi e difficoltà, ndr) come fanno molti Paesi dell’Ocse

Alternanza scuola lavoro: attenzione alla qualità

Sull’Alternanza scuola/lavoro, invece, per Bussetti è “un prezioso strumento di acquisizione di competenze. La vorrei qualificata, più mirata e più attenta”.

E sempre a Il Messaggero, Bussetti aveva aggiunto: “Fare esperienze di alternanza è molto importante. Per orientarsi sia nel mondo del lavoro sia nelle università. Tuttavia dobbiamo ricordare che l’Italia è molto variegata. Esistono territori con profonde differenze. Le esperienze che si possono fare nelle grandi città non possono essere fatte nelle campagne. Per questo è giusto dare un numero minimo di ore di alternanza da fare e contare sull’autonomia piena delle scuole. Ciascuna scuola potrà scegliere il percorso di alternanza e la durata con un numero minimo di ore di base. E ovviamente bisognerà sostenerle. Non è la quantità ad essere importante, ma la qualità dei percorsi“.

Interventi nel decreto Milleproroghe

Il Miur conta di intervenire fin da subito sui due argomenti. Come già segnalato da Skuola.net nei giorni scorsi, i primi interventi saranno contenuti nel decreto Milleproroghe, già approvato dal Senato e in esame alla Camera. L’alternanza, per ora, non sarà un requisito per l’ammissione alla maturità. Già nell’emendamento, su cui c’è accordo nella maggioranza, si fa slittare l’entrata in vigore della misura di un altro anno, poi ci sarà il restyling annunciato dal ministro Bussetti con la riduzione delle ore e la probabile definitiva uscita dai requisiti per i maturandi. Stessa sorte per le prove Invalsi che, nel 2018/2109, debuttano in quinta superiore: la partecipazione ai temuti test in italiano, matematica e inglese, diventa requisito d’accesso alla maturità ma non subito, bensì dall’anno successivo, cioè dal 2019/2020.

 

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Catastrofe culturale: studenti abbandonano la scuola

Catastrofe culturale: studenti abbandonano la scuola

 

Anticipiamo in esclusiva i dati elaborati dal dossier Tuttoscuola: ogni anno più di 150mila ragazzi lasciano le aule. I numeri impressionanti di un fallimento sociale ma anche economico. Tutti i dati dell’emergenza su L’Espresso in edicola da domenica 9 settembre

di Francesca Sironi

 

A giorni le classi saranno formate, gli zaini pronti, 590 mila ragazzi inizieranno le scuola superiori. Evviva. Ma uno di loro su quattro non arriverà al diploma. Dirà addio agli studi prima di averli portati a termine. Un dossier della rivista specializzata Tuttoscuola che L’Espresso può anticipare in esclusiva mostra come l’Italia abbia perso lungo la strada tre milioni e mezzo di studenti, dal 1995 a oggi. È una voragine: il 30,6 per cento degli iscritti è scomparso prima di raggiungere il traguardo. Certo, in questi vent’anni sono stati alzati argini, spesso grazie a iniziative esterne, di volontari e associazioni. E il tasso di abbandono scolastico è diminuito: nel 2018 hanno detto addio in anticipo ai professori 151mila ragazzi, il 24,7 per cento del totale, contro il 36,7 del duemila. È un miglioramento, ma non una vittoria.

Perché l’incuria intorno e lo sconforto interno che portano gli adolescenti a far cadere i libri prima di averli compresi, sono gli stessi spettri che rischiano poi di trattenerli a lungo in quella macchia che è la conta dei Neet, dei giovani che non studiano né lavorano: il vuoto lattiginoso dentro cui è chiuso un ventenne su tre al Sud. «Si può evitare questa immane, ennesima catastrofe culturale, economica e sociale, che avviene proprio davanti ai nostri occhi disattenti e rassegnati?», si chiede Giovanni Vinciguerra, direttore di Tuttoscuola, introducendo il dossier, “La scuola colabrodo”: «Per farlo di sicuro bisogna partire dal sistema scolastico».

A rafforzare l’urgenza del tema possono essere i conti. Tuttoscuola li ha fatti, in denaro: ha calcolato quanto ci costa questo spreco generazionale. Partendo dalla stima Ocse per cui lo Stato investe poco meno di settemila euro l’anno a studente, per l’istruzione secondaria, il costo degli abbandoni si misura allora in cinque miliardi e 520 milioni solo considerando i cicli scolastici 2009-2014 e 2014-2018. Cinque miliardi bruciati in nove appelli d’inizio settembre. Ancora non importa a nessuno, questo spreco? Guardando ai vent’anni presi in considerazione dal dossier, la cifra diventa addirittura vertiginosa: 55,4 miliardi di euro.

È la misura di un fallimento sociale, oltre che economico, enorme. E che ne racchiude altri, perché come ricorda il rapporto, più istruzione significa anche più lavoro, più salute, più democrazia. Mentre lasciar seccare l’insegnamento, e la sua copertura, significa togliere strumenti e possibilità agli attuali e prossimi cittadini, quindi all’Italia come paese. Sull’Espresso in edicola il 9 settembre tutti i dati del rapporto insieme alle riflessioni e alle proposte di chi si occupa di dispersione scolastica. Oltre a un focus sull’altro aspetto della fuga: quella dei neo-laureati che cercano un futuro solo all’estero.

 

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