Maturità 2018, siete delusi dal vostro voto?

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Maturità 2018, siete delusi dal vostro voto?

Maturità 2018, siete delusi dal vostro voto? Istruzioni per preparare la rivincita

Se è’ andata male, ora potrà solo migliorare. Chi è uscito trionfalmente dalla maturità ha solo rinviato l’appuntamento con la sua quota di delusioni

Sì, poteva andare meglio. E’ uno sguardo imbambolato quello che scivola sul tabellone, con quei numeretti già letti una ventina di volte accanto a nomi cristallizzati da un lustro di appelli. Sicuramente il voto finale non è quello che ti aspettavi, neanche parente di quello sperato dai tuoi o generosamente immaginato dagli amici. Ma dai, la maturità è andata, non è il caso di farne un dramma. Sei stato promosso, in fondo. Certo per essere respinto avresti dovuto dare uno schiaffo al presidente di commissione e essere sicuro di prenderlo perché con una mezza cilecca qualche possibilità potevi ancora giocartela.

Pensa a quella candidata che alla domanda su chi era Gabriele D’Annunzio, ha risposto perentoria “un estetista”. E smettete di avere in testa quello scemo del terzo banco che ha preso 95. Ecco, siete immersi in una palude appiccicosa che si chiama delusione. Che rischia di rimanervi addosso scolorendo gli orizzonti della prima e forse unica estate della vita che può spingersi fino a ottobre inoltrato. E il peggio in tutta questa mestizia è che non prevede prediche o rimproveri, ma sorde litanie di rassegnazione con gestualità annessa. Se avete finito di piangervi addosso è il momento di ribellarvi. La delusione non è il contrario della speranza, ma la sua base di partenza più solida. E’ andata male, ora potrà solo migliorare.

Essere disillusi è una condizione ideale per affrontare le prossime sfide con i piedi ben saldi a terra. A questo dovete unire l’ingrediente segreto per trasformare una delusione nell’arma vincente della vostra rivincita. Si chiama consapevolezza. Gli unici colpevoli del fallimento siete voi, prima lo accettate meglio sarà. Incolpare la sorte, il tale prof, la sventura è una infinita e inutile perdita di tempo. Uno studio più costante, una vita appena appena più regolata, qualche concessione in più al riposo, accettare aiuti là dove da soli non si arriva facilmente: ecco, sono medicine capaci di effetti miracolosi. Non hanno bisogno di medici (o parenti) che le prescrivano. Tanto se non siete convinti voi non funzioneranno mai.

Non solo: la quota di amarezza e sconforto che la vita decide di regalarci è diversa per ognuno di noi, così come gioie e conquiste, ma alla lunga, sui grandi numeri quelle oscillazioni si avvicinano e il peso del bagaglio di scontentezza che ci tocca finisce per somigliarsi. Alla lunga. Se osservate la realtà per via breve, avete già dato. Chi è uscito trionfalmente dalla maturità ha solo rinviato l’appuntamento con la sua quota di delusioni. E avete finalmente capito cosa dire a quello scemo del terzo banco che ha preso 95. «Poveretto!».

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Gli studenti danno i voti

 

Gli studenti danno i voti: troppo impegno e poco lavoro, università italiane bocciate

Dalla Cina alla Spagna, dalI’India alla Gran Bretagna, i risultati dell’indagine Sodexo su soddisfazione e aspettative. Nel nostro Paese quasi la metà degli iscritti si dice ‘non contenta’ del proprio percorso accademico e un allievo su tre ha pensato di lasciare

di CRISTINA NADOTTI

 

ROMA – Carichi di lavoro eccessivi e difficoltà a conciliare socializzazione e studio, i ragazzi italiani percepiscono la loro vita da universitari come insoddisfacente, soprattutto poiché valutano come inutile il loro impegno, rispetto alle prospettive di lavoro dopo la laurea.

Sodexo, società che si occupa di migliorare i servizi all’interno dei campus universitari, ha realizzato un sondaggio su oltre 4mila universitari in sei Paesi: India, Cina, Regno Unito, Stati Uniti, Spagna e, appunto, Italia. Quasi 4 universitari italiani su 10, cioè il 38 per cento, rivelano di non essere soddisfatti della propria vita e in pratica la metà, il 46 per cento, si dice non contento del proprio percorso accademico. Le percentuali sono molto diverse negli altri Paesi oggetto di studio, poiché si dicono soddisfatti degli studi proprio e della vita da studenti l’82 per cento degli indiani, il 76 per cento dei cinesi, il 75 per cento degli inglesi, il 73 per cento degli americani e il 70 per cento degli spagnoli.

Non basta, per commentare i dati, considerare che nei Paesi in cui l’accesso a un’istruzione accademica è un privilegio, come l’India appunto, possa bastare essere universitari per sentirsi quasi arrivati. A preoccupare è infatti lo scarto consistente tra il dato italiano e quello di altri Paesi europei, come Regno Unito e Spagna.

Il 36 per cento dei nostri studenti ha perciò pensato almeno una volta di abbandonare l’università, contro il 5 per cento dei cinesi e il 20 per cento degli indiani, preceduti solo dai pari età inglesi (37 per cento, ma per loro l’abbandono coincide con il lavoro). Gli italiani che hanno partecipato al sondaggio lamentano l’eccessivo carico di lavoro (il 51 per cento), la mancanza di equilibrio tra studio, socializzazione e lavoro (44 per cento) e la possibilità di trovare un’occupazione dopo la laurea (43 per cento).

Il tempo dell’insegnamento è soddisfacente soltanto per il 56 per cento degli universitari italiani e oltre 4 su 10 (il 43 per cento) devono fare i conti con una situazione economica preoccupante, con problemi di gestione delle spese quotidiane. Infine, soltanto un terzo degli studenti (37 per cento) pensa ci sia un buon rapporto qualità-prezzo dai servizi offerti dal proprio ateneo, valore inferiore a quelli di tutte le altre nazioni, fatta eccezione per il Regno Unito. Indicativa anche la sfiducia degli studenti italiani sulla capacità degli atenei di fare fronte alle loro esigenze, o di essere presenti in caso di difficoltà: il 53 per cento ritiene che l’università possa aiutalo a trovare un alloggio, il 47 per cento sente tutelato il suo diritto alla salute, il 46 per cento ritiene che l’università favorisca la socializzazione e il 46 per cento si sente sostenuto economicamente.

“Per attrarre le menti più brillanti e continuare a stimolarle, le università non devono solo fornire istruzione, ma devono anche rivolgere la loro attenzione alla qualità della vita degli studenti e di tutti coloro che lavorano all’interno dei campus – spiega Franco Bruschi, Head of Schools & Universities Segment Med Region di Sodexo – Ad esempio, la sicurezza e il comfort dell’ambiente in cui gli studenti vivono e studiano sono fattori che influenzano qualità della vita e capacità di apprendimento”.

“Sorprende un poco la scarsa soddisfazione per il rapporto costi-benefici dell’istruzione universitaria. Le università pubbliche italiane, a dispetto di certi luoghi comuni, presentano costi di accesso fortemente contenuti a fronte di una qualità media elevata che ci viene internazionalmente riconosciuta” commenta Paolo Cherubini, Prorettore Vicario dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.

Per Loredana Garlati, Prorettore all’Orientamento e Job Placement dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, invece: “Vista dal lato positivo, lo studente non vede più l’università come un “esamificio”, ma come una comunità da cui attendere non solo qualità didattica ma anche supporto nella soluzione dei propri problemi attraverso servizi orientamento, counselling, alloggi, luoghi di aggregazione, sport. Su questo le università italiane hanno ancora molto da fare”.

Michele Rostan, Delegato al Benessere Studentesco all’Università degli

Studi di Pavia, spiega che: “Occorre un maggiore impegno nel contrastare la dispersione formativa, nell’accompagnare gli studenti nel loro percorso, una maggiore attenzione alla didattica e l’offerta di maggiori spazi dedicati allo studio, soprattutto insieme ad altri studenti”.

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